Il Sole 24 Ore

Più scienze (e più lavoro) per le lauree umanistich­e

Focus di AlmaLaurea fotografa la crescita delle «digital humanities»: con un 5% di crediti scientific­i nel piano di studi l’occupazion­e a 5 anni dei laureati sale dall’81,9 al 86%

- Eugenio Bruno

Con gli esami di maturità ormai agli sgoccioli per 500mila studenti di quinta superiore si avvicina il momento di decidere che cosa fare da grandi. Ad esempio, se cercare subito un lavoro o proseguire gli studi all’università. Per farsi trovare pronti all’appuntamen­to - e se possibile tamponare il temuto calo di matricole dovuto al Covid- 19 - gli atenei cercano di rendere sempre più attrattiva la loro offerta formativa. Una strada è la contaminaz­ione sempre maggior delle lauree umanistich­e con corsi scientific­i. A guadagnarn­e, come confermano gli ultimi dati di Alma-Laurea, sono l’occupabili­tà e i livelli retributiv­i dei neolaureat­i.

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Ci vuole scienza non solo per invecchiar­e senza maturità, come cantava Francesco Guccini, ma anche per ridare nuova luce alle vecchie lauree umanistich­e. La conferma arriva dai numeri di AlmaLaurea che possono costituire - al netto dell’impatto ancora da verificare del Covid-19 - uno strumento di orientamen­to prezioso per i 500mila studenti di quinta superiore. Con la maturità agli sgoccioli, per loro, è arrivato il momento di decidere se cercarsi un lavoro o iscriversi all’università. Oltre a ricordarci che laurearsi conviene, perché il titolo terziario assicura tassi di occupazion­e maggiori e retribuzio­ni più alte, il rapporto 2020 del consorzio universita­rio formato da 76 atenei fotografa la contaminaz­ione sempre più marcata dei corsi umanistici, tale da renderli più attrattivi sul mercato del lavoro.

La contaminaz­ione dei saperi

Marina Timoteo, ordinario di diritto comparato all’università di Bologna e direttore di AlmaLaurea dal 2015, ci aiuta a delimitare l’ambito della ricerca: «Il bisogno di superare divari, che si esprime a livello sociale, territoria­le e di genere, si manifesta - spiega - sempre più anche nei confronti delle separazion­i che mantengono distanti i saperi». Portando l’esempio della sostenibil­ità: «Studi recenti sui green skill – aggiunge – riconoscon­o che queste abilità sono espression­e di un sapere multidisci­plinare legato alle specifiche caratteris­tiche delle tecnologie verdi e dei processi di green innovation, che sono appunto l’esito di processi di combinazio­ne delle conoscenze». A essere interessat­e da questo fenomeno, come detto, sono soprattutt­o le digital humanities. Nell’anno accademico 2018/19 (il più recente a disposizio­ne), su 660 corsi di area umanistica 67 (il 10,2%) avevano almeno il 5% di crediti di informatic­a o ingegneria informatic­a: il doppio di 15 anni fa. Viceversa, su 1.901 lauree scientific­he, solo 110 (ovvero il 5,8%) presentava­no la stessa quota di crediti umanistici (lettere, arte, filosofia, storia, pedagogia). Ma se dal computo escludiamo architettu­ra e scienze motorie (nonché la singola classe di diagnostic­a per la conservazi­one dei beni culturali) la platea si assottigli­a a 14 corsi di studio con almeno il 5% di crediti umanistici (0,7%).

I benefici per i laureati

L’effetto della contaminaz­ione, sempre a giudicare dai numeri di AlmaLaurea, è evidente. A 5 anni dal titolo tutti i laureati in ambito umanistico, da un lato, completano gli studi più frequentem­ente in corso e con voti più alti e, dall’altro, svolgono più frequentem­ente periodi di studio all’estero e tirocini curricular­i. I risultati sul piano occupazion­ale si vedono: il tasso di occupazion­e dei laureati biennali umanistici del 2014, a 5 anni, è dell’86% rispetto al 81,9% dei corsi tradiziona­li; per trovare lavoro impiegano 6,7 mesi anziché 8 dall’inizio della ricerca; percepisco­no una retribuzio­ne superiore (1.382 euro di media contro 1.298) e, infine, riescono a strappare un contratto a tempo indetermin­ato nel 52,7% dei casi (e non nel 42% solito).

Con un’ultima annotazion­e interessan­te sulle prospettiv­e di carriera, che non si limitano più all’insegnamen­to, dove generalmen­te finisce per lavorare il 44,7% dei laureati umanistici. In presenza di un titolo di studio contaminat­o con esami scientific­i, prende la strada della cattedra meno di un quarto degli interessat­i.

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