Covid-19, corsa alla ricerca di farmaci anti virali
La strategia attuale è il «ripiazzamento» di medicinali già in uso per altre malattie, come la recente approvazione di remdesivir. Ma la Ue ha fatto bandi per circa 100 milioni di euro per una cura specifica
In molte zone del mondo Covid-19 fa ancora rima con tempesta, con numeri che preoccupano e statistiche quotidiane che parlano di contagi a molti zeri. In Europa, dopo la prima ondata, il SarsCoV-2 si riaccende. E anche in Italia si manifestano nuovi focolai d’infezione. Nel frattempo, la scienza sta studiando a grande velocità le contromisure, sotto forma di modelli di assistenza e terapie sempre più “provate” nella loro efficacia. Rimane però una grande sfida da vincere: trovare farmaci antivirali specifici che possano bloccare sul nascere la replicazione di Sars-CoV-2. E non è facile, soprattutto perché il virus è “semplice” nei suoi meccanismi riproduttivi all’interno delle cellule umane.
«Più i meccanismi di replicazione di un germe sono complicati, più bersagli ci sono sul fronte della terapia, e quindi abbiamo più possibilità di cura – spiega Carlo Federico Perno, ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica dell’Università di Milano e direttore della Microbiologia dell’Ospedale Niguarda -. I virus, in generale, hanno un ciclo replicativo semplice. Pensate solo ai parvovirus, che provocano anemia e che sono estremamente semplici nel replicarsi: trovare una cura è pressochè impossibile perché “usano” del tutto la cellula ospite e per eliminarli dovremmo uccidere le cellule umane. Il sars-CoV-2 in questo senso è di media complessità ed è simile ad altri virus a Rna per cui ci sono farmaci. Questo spiega la strategia attuale di “repurposing”, ovvero “ripiazzamento” di farmaci già impiegati per altre patologie virali».
Insomma, anche se di Sars-CoV-2 conosciamo i potenziali target da attaccare, al momento, puntiamo forte sul “ripiazzamento” di altri antivirali. L’esempio più classico è remdesivir, approvato la settimana scorsa dall’Agenzia europea del farmaco (Ema) come primo antivirale contro Covid19, e sviluppato inizialmente da Gilead Sciences come trattamento per l’Ebola e le infezioni da virus Marburg. La società proprio ieri a deciso il prezzo: 2.340 dollari per un ciclo di 5 giorni. Gli assicuratori statunitensi pagheranno il 33% in più, ovvero 3.120 dollari, mentre i paesi in via di sviluppo riceveranno il farmaco a prezzi notevolmente ridotti attraverso produttori di generici ai quali Gilead ha concesso in licenza la produzione. Si tratta comunque dell’unico antivirale puro che è arrivato a questo punto fino ad ora. «È un risultato importante, a pochi mesi dall’inizio della pandemia. Più in generale questa strategia è attualmente molto seguita: basti pensare che l’Unione europea ha fatto bandi per circa 100 milioni di euro proprio a questo scopo e su questa linea si sta muovendo anche l’industria farmaceutica, anche grazie a modelli di ricerca del tutto nuovi – sottolinea Perno -. Si stanno facendo screening virtuali su miliardi di molecole per trovare chiavi “nuove” di utilizzo di farmaci che potrebbero agire direttamente su Sars-CoV-2». E i risultati sono molto promettenti.
Certo è che costruire farmaci contro i virus non è mai stato facilissimo. «Per primi sono arrivati gli antibiotici, farmaci diretti contro i batteri. Anche se purtroppo, oggi, con l’uso sconsiderato che ne abbiamo fatto, cominciano a scarseggiare, soprattutto per combattere i batteri multiresistenti – fa sapere Stefano Vella, docente di Salute globale all’Università Cattolica di Roma -. Dopo i farmaci per l’Herps virus, con i progressi della biologia molecolare, dopo gli anni 90 sono finalmente arrivati quelli contro il virus Hiv e, più recentemente, contro il virus dell’epatite C (Hcv). Il segreto è stato quello di neutralizzare enzimi essenziali per la replicazione di questi virus ma che non vengono usati dalle cellule umane. Questo ne aumenta la specificità e riduce la tossicità dei farmaci. È il caso dei farmaci che impediscono l’ingresso del virus nella cellula o dei farmaci che inibiscono la transcriptasi inversa e l’integrasi di Hiv, e contro le proteasi virali (sia di Hiv che di Hcv). Oggi, di Covid-19, conosciamo sia i meccanismi replicativi, che i recettori che utilizza per entrare nelle cellule e questo fa ben sperare».
Aver svelato i meccanismi intimi con cui il virus entra nella cellula, si riproduce e attacca altre cellule è fondamentale in questo senso. I “target” degli antivirali sono insomma ben definiti, come segnala una review di Drugs of the Future a cura degli scienziati di Clarivate Analitycs di Barcellona. Per agire su alcuni obiettivi ci sono già studi in corso, per altri ci vorrà ancora tempo, anche perché bisogna capire se davvero agire su quei target sarà utile per il controllo del virus. Ad esempio è in corso un trial clinico su un anticorpo monoclonale specifico, che lega la proteina S virale. E il “mirino” dei ricercatori è puntato anche su una specifica proteasi dei coronavirus che in qualche modo consentirebbe l’accesso del virus all’interno delle cellule polmonari: si chiama Tmprss2 ed è presente nel corpo umano. «Ma stiamo andando avanti – conclude Perno -. E se ci sarà una seconda ondata, cosa che non sappiamo, non avremo ancora un vaccino che probabilmente arriverà solo in futuro (chissà se prossimo o lontano) e comunque non sarà l’unica chiave di controllo dell’epidemia; abbiamo infatti conosciuto il virus e siamo più pronti ad affrontarlo con i trattamenti necessari, anche grazie agli antivirali».