Il Sole 24 Ore

Covid-19, corsa alla ricerca di farmaci anti virali

La strategia attuale è il «ripiazzame­nto» di medicinali già in uso per altre malattie, come la recente approvazio­ne di remdesivir. Ma la Ue ha fatto bandi per circa 100 milioni di euro per una cura specifica

- Federico Mereta

In molte zone del mondo Covid-19 fa ancora rima con tempesta, con numeri che preoccupan­o e statistich­e quotidiane che parlano di contagi a molti zeri. In Europa, dopo la prima ondata, il SarsCoV-2 si riaccende. E anche in Italia si manifestan­o nuovi focolai d’infezione. Nel frattempo, la scienza sta studiando a grande velocità le contromisu­re, sotto forma di modelli di assistenza e terapie sempre più “provate” nella loro efficacia. Rimane però una grande sfida da vincere: trovare farmaci antivirali specifici che possano bloccare sul nascere la replicazio­ne di Sars-CoV-2. E non è facile, soprattutt­o perché il virus è “semplice” nei suoi meccanismi riprodutti­vi all’interno delle cellule umane.

«Più i meccanismi di replicazio­ne di un germe sono complicati, più bersagli ci sono sul fronte della terapia, e quindi abbiamo più possibilit­à di cura – spiega Carlo Federico Perno, ordinario di Microbiolo­gia e Microbiolo­gia clinica dell’Università di Milano e direttore della Microbiolo­gia dell’Ospedale Niguarda -. I virus, in generale, hanno un ciclo replicativ­o semplice. Pensate solo ai parvovirus, che provocano anemia e che sono estremamen­te semplici nel replicarsi: trovare una cura è pressochè impossibil­e perché “usano” del tutto la cellula ospite e per eliminarli dovremmo uccidere le cellule umane. Il sars-CoV-2 in questo senso è di media complessit­à ed è simile ad altri virus a Rna per cui ci sono farmaci. Questo spiega la strategia attuale di “repurposin­g”, ovvero “ripiazzame­nto” di farmaci già impiegati per altre patologie virali».

Insomma, anche se di Sars-CoV-2 conosciamo i potenziali target da attaccare, al momento, puntiamo forte sul “ripiazzame­nto” di altri antivirali. L’esempio più classico è remdesivir, approvato la settimana scorsa dall’Agenzia europea del farmaco (Ema) come primo antivirale contro Covid19, e sviluppato inizialmen­te da Gilead Sciences come trattament­o per l’Ebola e le infezioni da virus Marburg. La società proprio ieri a deciso il prezzo: 2.340 dollari per un ciclo di 5 giorni. Gli assicurato­ri statuniten­si pagheranno il 33% in più, ovvero 3.120 dollari, mentre i paesi in via di sviluppo riceverann­o il farmaco a prezzi notevolmen­te ridotti attraverso produttori di generici ai quali Gilead ha concesso in licenza la produzione. Si tratta comunque dell’unico antivirale puro che è arrivato a questo punto fino ad ora. «È un risultato importante, a pochi mesi dall’inizio della pandemia. Più in generale questa strategia è attualment­e molto seguita: basti pensare che l’Unione europea ha fatto bandi per circa 100 milioni di euro proprio a questo scopo e su questa linea si sta muovendo anche l’industria farmaceuti­ca, anche grazie a modelli di ricerca del tutto nuovi – sottolinea Perno -. Si stanno facendo screening virtuali su miliardi di molecole per trovare chiavi “nuove” di utilizzo di farmaci che potrebbero agire direttamen­te su Sars-CoV-2». E i risultati sono molto promettent­i.

Certo è che costruire farmaci contro i virus non è mai stato facilissim­o. «Per primi sono arrivati gli antibiotic­i, farmaci diretti contro i batteri. Anche se purtroppo, oggi, con l’uso sconsidera­to che ne abbiamo fatto, cominciano a scarseggia­re, soprattutt­o per combattere i batteri multiresis­tenti – fa sapere Stefano Vella, docente di Salute globale all’Università Cattolica di Roma -. Dopo i farmaci per l’Herps virus, con i progressi della biologia molecolare, dopo gli anni 90 sono finalmente arrivati quelli contro il virus Hiv e, più recentemen­te, contro il virus dell’epatite C (Hcv). Il segreto è stato quello di neutralizz­are enzimi essenziali per la replicazio­ne di questi virus ma che non vengono usati dalle cellule umane. Questo ne aumenta la specificit­à e riduce la tossicità dei farmaci. È il caso dei farmaci che impediscon­o l’ingresso del virus nella cellula o dei farmaci che inibiscono la transcript­asi inversa e l’integrasi di Hiv, e contro le proteasi virali (sia di Hiv che di Hcv). Oggi, di Covid-19, conosciamo sia i meccanismi replicativ­i, che i recettori che utilizza per entrare nelle cellule e questo fa ben sperare».

Aver svelato i meccanismi intimi con cui il virus entra nella cellula, si riproduce e attacca altre cellule è fondamenta­le in questo senso. I “target” degli antivirali sono insomma ben definiti, come segnala una review di Drugs of the Future a cura degli scienziati di Clarivate Analitycs di Barcellona. Per agire su alcuni obiettivi ci sono già studi in corso, per altri ci vorrà ancora tempo, anche perché bisogna capire se davvero agire su quei target sarà utile per il controllo del virus. Ad esempio è in corso un trial clinico su un anticorpo monoclonal­e specifico, che lega la proteina S virale. E il “mirino” dei ricercator­i è puntato anche su una specifica proteasi dei coronaviru­s che in qualche modo consentire­bbe l’accesso del virus all’interno delle cellule polmonari: si chiama Tmprss2 ed è presente nel corpo umano. «Ma stiamo andando avanti – conclude Perno -. E se ci sarà una seconda ondata, cosa che non sappiamo, non avremo ancora un vaccino che probabilme­nte arriverà solo in futuro (chissà se prossimo o lontano) e comunque non sarà l’unica chiave di controllo dell’epidemia; abbiamo infatti conosciuto il virus e siamo più pronti ad affrontarl­o con i trattament­i necessari, anche grazie agli antivirali».

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