Il Sole 24 Ore

Partire da Irpef e cuneo per un sistema più equo

- Di Mario Baldassarr­i

Quasi tutti parlano di abbassamen­to delle tasse. Pochi però dimostrano di conoscere ciò di cui parlano. Spesso vengono lanciati titoli e slogan o proposte isolate e strampalat­e come quella di abbassare, a tempo determinat­o, le aliquote Iva.

Al contrario abbassare le tasse significa: 1) fare una riforma struttural­e, permanente e complessiv­a (come ribadito dal Governator­e Visco) con in testa l’Irpef per lavoratori e famiglie e l’Irap/cuneo fiscale per le imprese; 2) se deve essere struttural­e e permanente, il minor gettito non può essere coperto con maggiore deficit e debito, né, tantomeno, con i fondi europei.

Ne consegue che qualunque riforma fiscale con riduzione di gettito, per essere credibile, deve essere “in pareggio” e quindi finanziata con risorse ricavate all’interno del bilancio pubblico. Il coraggio cioè non sta nel tagliare le tasse, ma nel reperire le risorse, tagliando sprechi e ruberie di spesa pubblica, le mille agevolazio­ne e bonus fiscali e recuperand­o risorse dalla lotta all’evasione, non annunciate, ma incassate.

Nella nostra Costituzio­ne sono scolpiti due princìpi fondamenta­li: “l’equità verticale”, cioè le imposte devono essere progressiv­e e quindi persone con maggiore reddito pagano proporzion­almente più tasse; “l’equità orizzontal­e”, cioè persone con le stesse condizioni economiche pagano la stessa imposta.

La nostra attuale Irpef ha cinque scaglioni e cinque aliquote. Poi ci sono deduzioni e detrazioni fiscali a pioggia ( Tax expenditur­e) che ammontano a 80 miliardi di euro certificat­i dalla Commission­e Marè del ministero dell’Economia, escludendo quelle sociali-sacrosante per carichi di famiglia, per redditi da lavoro dipendente, per mutui prima casa ecc. che vanno confermate e forse rafforzate.

I dati dell’Agenzia delle Entrate del 2018 indicano che il gettito totale dell’Irpef è stato pari a 158 miliardi di euro pagati da 31 milioni di cittadini su 61 milioni di abitanti. Ne deriva aritmetica­mente che il 49% degli italiani non paga Irpef.

Tra i paganti, quelli con redditi lordi medio-bassi inferiori a 55mila euro hanno pagato 101 miliardi, il 64% del totale. I contribuen­ti fino a 100mila euro di reddito lordo hanno pagato 123 miliardi, quasi l’80% del totale. Pertanto i cittadini con più di 55mila euro hanno pagato un terzo del totale e quelli con più di 100mila euro hanno pagato un quinto del totale.

I numeri dimostrano che l’attuale Irpef è regressiva, cioè non rispetta il principio costituzio­nale dell’equità verticale, e, a parità di reddito, fa pagare di più a chi non è avvantaggi­ato dalleTax dalle Tax expenditur­e, cioè non rispetta neanche il principio dell’equità orizzontal­e.

Più di trent’anni fa si sviluppò un ampio confronto tra economisti liberisti ed economisti keynesiani. Per ragioni diverse, emerse una convergenz­a di obiettivi. Una riforma fiscale avrebbe dovuto basarsi su una imposizion­e onnicompre­nsiva, su un allargadi mento delle basi imponibili e su una riduzione dei livelli e del numero delle aliquote.

Seguendo questi tre princìpi e sempre sulla base dei dati ufficiali, se introduces­simo una Irpef con una notax area sotto i 20mila euro e tre aliquote, al 20% da 20 a 50mila euro, al 30% tra 50 e 100mila euro e al 43% sopra i 100mila euro, si avrebbe un “abbassamen­to delle tasse” di circa 40 miliardi di euro. Questi sgravi però andrebbero per l’80% ai redditi medio bassi inferiori ai 55mila euro. Questa Irpef sarebbe progressiv­a e rispettere­bbe il dettato costituzio­nale.

Per la copertura finanziari­a basterebbe tagliare 40 miliardi, cioè la metà delle attuali Tax expenditur­e a pioggia. Purtroppo negli ultimi decreti la pioggia di deduzioni e detrazioni di imposte (vedi biciclette elettriche e monopattin­i) è diventata un diluvio di goccioline piccole, piccole.

Alla riforma Irpef si deve poi affiancare l’azzerament­o dell’Irap o la riduzione del cuneo fiscale-contributi­vo per le imprese per 20 miliardi, compensand­ola con una pari riduzione degli oltre 50 miliardi di fondi perduti che ogni anno, da oltre trenta anni, eroghiamo a pioggia in conto capitale e in conto corrente.

Avremmo così una riforma fiscale struttural­e, permanente, credibile e soprattutt­o semplice.

Ciò che non è affatto semplice è trovare il consenso politico, sempre bloccato finora dalle mille corporazio­ni e congreghe trasversal­i che da decenni sguazzano su quegli sprechi di spesa, sulle piogge di agevolazio­ni fiscali e su elusione ed evasione.

Ecco perché parlare di abbassamen­to delle tasse è facile quando è pura demagogia poggiata sulla ignoranza dei numeri. Fare una riforma fiscale struttural­e con le necessarie coperture di bilancio è difficile perché significa fare politica vera, cioè avere il senso della Polis.

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