«Da febbraio è tutto fermo, serve far ripartire le fiere»
L’unica speranza, per gli allestitori italiani, è che riparta l’industria delle fiere e degli eventi. Il settore degli allestimenti è in ginocchio: circa 500 aziende (di cui 250 associate ad Asal) concentrate soprattutto nelle regioni del Nord Italia e 120mila lavoratori, nei momenti di picco, tra architetti, designer, falegnami, elettricisti, tecnici, fabbri, scultori, decoratori, grafici, stampatori, montatori, magazzinieri, che muovono un settore da 2 miliardi di euro. Si sperava in una ripresa da settembre, ma sono già iniziate le cancellazioni di fiere anche per l’autunno, da VicenzaOro a Expocomfort, da Cersaie a Eicma. «La situazione è sconfortante – ammette Massimiliano Vaj, presidente Asal –: non si capisce bene che cosa ripartirà. Manca la fiducia: i nostri clienti, che sono gli espositori delle fiere, sono terrorizzati dall’idea di fare investimenti importanti per partecipare a manifestazioni che rischiano di essere semideserte». Una notizia positiva arriva dal mondo della cultura, con la ripartenza di musei e mostre, ma si tratta di piccoli interventi. «È comunque il segno che qualcosa finalmente si muove – osserva Vaj –. La sensazione è che le persone fisiche stiano ricominciando a vivere, a spostarsi, mentre la società economica è bloccata. C’è molta incertezza nel mondo delle fiere: i quartieri stanno confermando alcuni eventi, anche importanti, ma tanti sono stati annullati». Servirebbero incentivi a chi partecipa, da parte del Governo. Altrimenti per gli allestitori il danno sarà gravissimo: «Siamo a fatturato zero da fine febbraio, il mercato non esiste e se avanti così quest’anno chiuderemo a -80% – dice Vaj –. Abbiamo chiesto finanziamenti a fondo perduto, e l’eliminazione dell’Imu, ma a oggi per noi non è stato previsto alcun incentivo, tranne la cassa integrazione».