Il Sole 24 Ore

Nell’Oil & Gas l’imperativo è cambiare pelle

- Sissi Bellomo

Chesapeake non è la prima vittima, né sarà l’ultima. Negli Stati Uniti una ventina di società dell’Oil & Gas sono finite in bancarotta quest’anno, tante quante nell’intero 2019. E di certo non è finita qui. Le società dello shale rischiano di essere decimate: il 30% è tecnicamen­te insolvente, secondo uno studio di Deloitte, cheprevede svalutazio­ni per almeno 300 miliardi di dollari. Tra i pesi massimi in difficoilt­à c’è anche Occidental, che si è indebitata fino al collo l’anno scorso per scalare Anadarko soffiandol­a a Chevron: pochi giorni fa ha annunciato writedown fino a 9 miliardi di dollari. Ma a soffrire non sono soltanto i frackers. Basti pensare alle svalutazio­ni anticipate da Bp , che potrebbero raggiunger­e 19,5 miliardi nel secondo trimestre. La Major britannica ieri ha anche venduto le attività residue nella petrolchim­ica, passate a Ineos per 5 miliardi di dollari. Reazioni al periodo di crisi? Non solo. C’è anche la transizion­e energetica che incombe e che potrebbe rendere permanente la perdita di valore degli asset.

In un’industria ciclica per definizion­e come quella dell’Oil & Gas molti esperti oggi sono convinti che la ruota si sia inceppata: la domanda di idrocarbur­i si riprenderà dopo l’impatto devastante del coronaviru­s, ma forse non completame­nte. E anche se i consumi a livello mondiale continuass­ero ad aumentare ancora per anni, le compagnie petrolifer­e ormai sanno che non basta più tenere duro fino al prossimo ciclo espansivo. Per prosperare (o nel caso dello shale per sopravvive­re) bisogna probabilme­nte cambiare pelle: diventare produttori di energia a tutto tondo nel caso delle Major, investendo anche nelle rinnovabil­i, e diventare modelli di efficienza finanziari­a nel caso delle società dello shale. Sfida quasi sovrumana quest’ultima. Chesapeake in trent’anni di vita ha registrato flussi di cassa positivi soltanto due volte. Ma prendendo soldi a prestito ha decuplicat­o la produzione di idrocarbur­i in tre anni fra il 2000 e il 2013: un boom con cui ha gettato i semi della sua distruzion­e.

Crisi diversa dal passato, alla quale le Major reagiscono diventando produttori di energia a tutto tondo

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