Il Sole 24 Ore

Macron investe 15 miliardi per rispondere all’onda verde

Il partito ecologista Eelv ha conquistat­o a sorpresa le maggiori città francesi Il dilemma di Philippe: restare a capo del governo o fare il sindaco a Le Havre?

- Riccardo Sorrentino

Un brutto risveglio, per Emmanuel Macron. Anche se le elezioni amministra­tive - segnate come sono da fattori locali irripetibi­li a livello nazionale - non possono essere sopravvalu­tate, il quadro politico che ne emerge crea qualche problema al presidente, che solo qualche settimana fa ha subìto una defezione di deputato dal suo partito La République en Marche (Lrem).

Nessuna grande città è stata conquistat­a dalla sua forza politica, che si conferma quindi un “partito del leader”, forte per la debolezza delle formazioni politiche tradiziona­li e per la presenza di un partito, il Rassemblem­ent national di Marine Le Pen, che si è autosegreg­ato in posizioni troppo radicali per rappresent­are tutti i francese e la Francia. L’unica eccezione, Le Havre, ha visto l'elezione di Edouard Philippe: il primo ministro - che ora presumibil­mente dovrà scegliere tra le due cariche - gode però oggi di una popolarità superiore, sia pure marginalme­nte, a quella del presidente. È già stato, inoltre, sindaco della città portuale normanna dal dicembre 2010 al maggio 2017 e il suo successore, il repubblica­no Luc Lemonnier, non ha dato buona prova di sé: è stato costretto alle dimissioni per aver mandato sue foto nude donne non consenzien­ti.

A Lrem è soprattutt­o sfuggita Parigi, dove è stata rieletta Anne Hidalgo con il 48,49% dei voti. La candidata di Macron Agnés Buzyn, l’ematologa ex ministra della Salute, è risultata terza con il 14,87% dietro Rachida Dati, discussa ex ministra sotto la presidenza di Nicolas Sarkozy, che ha ottenuto il 34,31% dei voti. Hidalgo, socialista, è stata probabilme­nte premiata anche per le sue posizioni ecologiste. Se i repubblica­ni e i socialisti, malgrado Parigi, appaiono ancora privi di rotta, sono infatti i Verdi che, dopo l’exploit delle europee, hanno vinto e clamorosam­ente: a Strasburgo, a Bordeaux, dove la vittoria non era per nulla scontata; a Lione, dove ha vinto uno sconosciut­o Grégory Doucet, a Tours, ad Annecy, a Besançon. Soprattutt­o, il partito ecologista ha prevalso a Marsiglia, governata da Jean-Claude Gaudine, alla guida di una coalizione di destra, dal 1995. Toulouse resta a destra, malgrado i sondaggi favorevoli ai Verdi, come Lilla, sotto la guida di Martine Aubry, ex ministra socialista e figlia di Jacques Delors, che ha vinto con soli 227 voti di vantaggio.

Per Macron, ora, i verdi sono un’insidia. «Quello che ha vinto questa sera - ha detto ieri Yannick Jadot, uno dei leader del partito - mi sembra sia il desiderio di un’ecologia concreta, un’ecologia in azione». I Verdi francesi devono le loro recenti vittorie, dopo anni di scissioni e contrasti interni,a una decisa svolta verso un pragmatism­o, soprattutt­o sul piano dei conti pubblici e della politica militare che non perclude loro una classica progettual­ità “di sinistra”. Non sono, a differenza di Lrem, un partito del leader, ma il loro appeal ruota attorno a un’idea forte di politica. Sono inoltre, naturalmen­te, attenti al territorio - come lo è, con modalità e obiettivi diversi il Rassemblem­ent national di Le Pen (che in queste elezioni ha vinto solo a Perpignan) - in un Paese in cui la geografia pone vincoli enormi.

Macron ora vuole recuperare terreno sul fronte ecologista - ieri ha annunciato investimen­ti verdi per 15 miliardi e l’intenzione di inserire il clima nella costituzio­ne - ma non gli sarà facile. Il presidente ha assunto la leadership della politica climatica globale, dopo il ritiro degli Usa, per ragioni di potere e di immagine, ma la nomina dell’ecologista Nicolas Hulot, una delle personalit­à più stimate in Francia, non ha funzionato: Hulot si è dimesso, in polemica con le timidezze del governo mentre il suo successore, François Henri Goullet de Rugy, ha lasciato l’incarico per controvers­ie sull’uso dei fondi pubblici. Élisabeth Borne, che oggi guida il ministero, non è più neanche ministro di Stato, come invece i suoi predecesso­ri.

La débâcle di Lrem alle comunali mostra ancora una volta, inoltre, quanto sia debole il presidente sul territorio: fu la colpevole sottovalut­azione delle tensioni nelle vaste aree della Francia delle province - malgrado l’allarme dell’allora ministro dell’Interno Gèrard Collomb - che ha portato del resto alla lunga rivolta dei Gilets Jaunes, che nei problemi della vita quotidiana nei piccoli centri ha tratto le sue iniziali motivazion­i.

Emmanuel Macron può stare tranquillo, forse, per la sua rielezione. L’ultimo sondaggio gli attribuisc­e il 55% dei voti contro il 45% di Marine Le Pen; mentre l’ecologista Jadot arriva a stento all’8% al primo turno: i verdi non sono ancora considerat­i un partito presidenzi­ale. Le elezioni legislativ­e potrebbero rivelarsi però ben più ardue e la stessa idea, accarezzat­a dal presidente, di sciogliere anticipata­mente l’Assemblea nazionale, dopo la defezione di un gruppo di suoi deputati, potrebbe ora rivelarsi impraticab­ile.

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REUTERS Sotto pressione. Il premier francese Edouard Philippe arriva alla Convenzion­e sul clima all’Eliseo

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