Il farmaco giusto? Il gemello allo specchio
Vale più la serendipity o l’intelligenza artificiale? Mentre i supercomputer analizzano e disegnano molecole antivirali in serie dopo averle testate virtualmente, qualche anno fa c’è stata la vera e propria “rivoluzione” nel trattamento di infezioni gravi, come quella da Hiv e da virus dell’epatite C. Ed ha visto protagonista Raymond Felice Schinazi, la cui vita è narrata nel volume «Cervelli, soldi, medicine » di Paolo Cornaglia Ferraris. Lo scienziato, cui si deve gran parte della ricerca chimica per i farmaci antivirali moderni ha passato un’infanzia a dir poco avventurosa. Da Livorno la sua famiglia si è trasferita in Libia, poi in Egitto, per poi tornare a Napoli e poi in Spagna. Da lì è poi giunto, grazie ai sacrifici paterni, all’Università di Bath e poi alla Emory University di Atlanta, dove ha potuto sviluppare il suo intuito di ricercatore. «Il grande genio di Schinazi è stato nell’immaginare, vedendo nella propria mente, le molecole chimiche, analizzandone anche forma e dimensioni – racconta Cornaglia Ferraris -. Poi, ovviamente, arriva l’intuizione, controcorrente rispetto alla cultura di allora: solo una delle forme speculari di quelle molecole era davvero attiva contro il virus, non la sua “gemella”». All’epoca, siamo intorno alla fine degli anni 80, l’attenzione dei ricercatori di tutto il mondo era concentrata sui derivati di purine e pirimidine, basi che costituiscono il nucleo centrale del Dna e dell’Rna di tutte le cellule viventi e avevano da anni attratto l’attenzione dei ricercatori in oncologia, virologia e immunologia. Tutti pensavano a costruire in laboratorio purine e pirimidine che in qualche modo impedissero la replicazione virale. In pratica si cercavano solo molecole simili a quelle virali che impedissero la formazione dei “ponti” necessari per la duplicazione del virus stesso o anche di cellule neoplastiche per l’oncologia. Altri filoni di ricerca, compreso quello di Schinazi, puntavano invece a realizzare nucleotidi e nucleosidi artificiali, per farli diventare farmaci in grado di “ingannare” il virus. Come? Attraverso i “gemelli allo specchio” della molecola di partenza, ovvero gli enantiomeri. Ma questi dovevano essere ben caratterizzati e c’era bisogno del gemello “giusto”. Ed ecco la serendipity. Chung K. Chu, che lavorava con Schinazi, individuò per un colpo di fortuna una reazione chimica capace di separarli, sbagliando la concentrazione di un prodotto necessario alla sintesi. Dall’errore nacque il sorprendente successo della ricerca di Schinazi, che ha portato a centinaia di brevetti contro virus ben più temuti di Sars-CoV-2: l’Hiv, quello dell’epatite C ed ora anche quello per la B.