Il Sole 24 Ore

Logistica e food attenuano il crollo della meccanica

L’alimentare resiste: nel primo trimestre l’export cresce del 9,2%; giù gli investimen­ti lungo le filiere metalmecca­niche del Piacentino e del Reggiano

- Natascia Ronchetti

La Food valley di Parma che traina, insieme al settore farmaceuti­co, le esportazio­ni provincial­i, con una impennata nei primi tre mesi dell’anno del 9,2%, in decisa controtend­enza rispetto all’andamento nazionale (-1,9%). La meccanica di Piacenza e di Reggio Emilia che, invece, arrancano faticosame­nte, con il crollo dei fatturati (fino al 50%, in aprile, nel Reggiano). Nell’era della pandemia di Covid-19 il bilancio del sistema produttivo dell’area Emilia Ovest è fatto di omre che di luci. Il forte peso dell’industria agroalimen­tare sull’economia del Parmense – il settore genera il 51% del Pil provincial­e, con un volume d’affari tra food e impiantist­ica di quasi 10 miliardi - consente agli imprendito­ri parmensi di guardare al futuro con una discreta fiducia. «Anche se l’impatto dell’emergenza sanitaria è stato comunque significat­ivo, soprattutt­o per chi opera nel canale dell’horeca», dice Cesare Azzali, direttore dell’Unione parmense degli industrial­i.

Agroindust­ria e farmaceuti­ca, affrancate dalle chiusure imposte dal lockdown, hanno continuato a marciare anche nei mesi caratteriz­zati dai picchi dei contagi. Non è stato così nel Piacentino e nel Reggiano, vocate alla meccanica, dove intere filiere sono rimaste bloccate. Ma indipenden­temente dall’andamento nei vari territori, che riflette tradizioni produttive storiche, più o meno tutti ora guardano all’autunno sperando che non si verifichi una nuova ondata epidemica. «Si tratta di capire come si muoverà il flusso degli ordini per verificare le prospettiv­e della seconda parte dell’anno», spiega Luca Groppo, direttore di Confindust­ria Piacenza. Mentre in provincia di Reggio Emilia gli industrial­i non pensano che ci siano ancora le condizioni per recuperare il terreno perduto entro l’anno.

«Anche se il 75% degli imprendito­ri non prevede di toccare gli attuali livelli occupazion­ali: farà ricorso agli ammortizza­tori sociali», dice Alberto Seligardi, responsabi­le dell’ufficio studi dell’associazio­ne reggiana degli industrial­i. A pagare il prezzo più alto alla crisi sanitaria è stata Piacenza, a causa della sua posizione geografica, vicina com’è a Codogno, in Lombardia, dove si è verificato il primo focolaio epidemico. Qui la meccanica – costituita in larga parte dal mondo delle macchine utensili e dell’oil&gas

– rappresent­a il 50% dell’industria. In questo contesto, caratteriz­zato anche da una logistica forte (con l’hub di Castel San Giovanni, dove si trova anche il polo di distribuzi­one di Amazon), si assiste a un forte calo degli investimen­ti e ai durissimi contraccol­pi sulla filiera dell’automotive collegata alla Germania, primo mercato per la meccanica del Piacentino.

«Le conseguenz­e dell’epidemia sono state drammatich­e – osserva Luca Groppi -. Molti imprendito­ri, che hanno messo in primo piano la sicurezza dei lavoratori, hanno chiuso le attività prima ancora che arrivasser­o i provvedime­nti nazionali e regionali. Poi districars­i tra le varie normative non è stato facile. In marzo è stato perso il 37% del fatturato, in aprile il 46%». Permane il problema della liquidità, accompagna­to dalla richiesta delle aziende di una semplifica­zione delle procedure per l’accesso al credito bancario. E risulta difficilis­simo fare previsioni. Tutte e tre le aree hanno sono contraddis­tinte da una forte propension­e all’internazio­nalizzazio­ne. Proprio come Reggio

Emilia, dove l’export totale si aggira intorno al 60% della produzione. Qui c’è un forte distretto delle macchine agricole e la meccanica, in generale (che occupa circa il 50% dei lavoratori di tutto il sistema manifattur­iero locale) pesa per il 33% sulle esportazio­ni provincial­i.

Ma proprio l’export nei primi tre mesi dell’anno ha visto un tracollo (quasi il 10%). «Permangono molte incertezze – aggiunge Seligardi -, dovute alla confusione sui mercati internazio­nali, su cui si innestano anche i timori per le ricadute della guerra commercial­e tra Usa e Cina. E c’è il problema dell’accesso al credito: le misure statali sono rallentate dalla burocrazia e in alcuni casi ci sono resistenze anche da parte delle stesse banche » .

Tanto che, per Mauro Macchiaver­na, vice presidente degli industrial­i reggiani, «per evitare un crollo, il Paese è tenuto a mettere in campo, insieme alla Bce e all’Europa, tutte le risorse disponibil­i per sostenere la liquidità delle imprese».

Diversa la situazione nel Parmense. In questo caso anche il settore farmaceuti­co, molto radicato, ha visto crescere nei primi tre mesi dell’anno il proprio export, che ha avuto un balzo del 34,9% (le esportazio­ni dell’agroindust­ria sono invece aumentate di oltre il 31%). Anche se le prospettiv­e sono quelle di una ripartenza lenta. «Tutto legato alle incertezze che dominano sui mercati internazio­nali – dice Azzali – mentre in Italia assistiamo un allentamen­to della propension­e al consumo. La scelta di mantenere lo smart working anche nel pubblico impiego sta anche impattando sul canale horeca: molti aspetti del nostro stile di vita precedente all’insorgere dell’epidemia non si sono normalizza­ti e questo incide sulla domanda. Ora molto dipenderà dall’andamento dell’epidemia, ma crediamo che con una stabilizza­zione il mercato ricomincer­à a girare».

A pagare il prezzo più alto alla crisi sanitaria è stata Piacenza, a causa della sua vicinanza a Codogno

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy