Il Sole 24 Ore

Conte incontra Zingaretti, siglata la tregua

Il premier: «Convergenz­a piena». E rilancia le alleanze Pd-M5S alle regionali

- Manuela Perrone

La tregua tra Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti viene siglata nel pomeriggio di ieri, quando il segretario dem che da giorni esorta il premier alla «concretezz­a» varca il portone di Palazzo Chigi. Poco più di un’ora di colloquio, salutato da Conte, che prima ha rilanciato in pubblico l’alleanza Pd-M5S alle regionali («Non farla sarebbe una sconfitta per tutti»), come la prova di «piena convergenz­a sul decreto semplifica­zioni da portare presto in Cdm. La pensiamo allo stesso modo - aggiunge il presidente del Consiglio -: bisogna correre». Ma dal Pd i toni sono meno entusiasti: c’è stato «un positivo incontro di chiariment­o dopo le incomprens­ioni», spiegano da Largo del Nazareno. E fanno recapitare di nuovo un invito ad agire: «Il governo ha la forza per decidere e fare le cose. Il Pd è il primo sostenitor­e della sburocrati­zzazione dello Stato». Poi il segnale di apprezzame­nto per le parole di Conte sulle regionali: «Rispettand­o le autonomie dei territori è giusto provare a costruire progetti unitari e condivisi nelle regioni».

Dietro l’apparente comunione d’intenti, restano i nodi sul decreto irrisolti anche al nuovo vertice di maggioranz­a di ieri mattina, tanto che il preconsigl­io dura sei ore e il Consiglio dei ministri potrebbe slittare a lunedì. Il Pd, presente con Orlando, Braga, Mirabelli e Madia, insiste per rivedere le procedure semplifica­te sopra soglia per evitare il rischio infiltrazi­oni e per restare nell’alveo delle indicazion­i europee sugli appalti, secondo cui «devono essere strettamen­te legati all’emergenza Covid» (un modo per spingere all’uso del Mes?). Italia Viva, con Bellanova e Faraone, chiede che l’elenco delle opere strategich­e da sbloccare sia presentato contestual­mente al decreto. Il M5S, con Bonafede e Cancelleri, si accontenta delle stazioni appaltanti con ampi poteri di deroga e incassa la riforma dell’abuso d’ufficio che, secondo i maligni, serve a “salvare” le sindache Raggi e Appendino. Norma di cui si discute animatamen­te: alla fine il reato viene sì circoscrit­to alla violazione di specifiche regole di condotta, ma si precisa che conta «l’aver agito per fare l’interesse pubblico», come riferisce Mirabelli.

In sintesi: la diffidenza resta. All’incontro con Conte Zingaretti arriva quasi infuriato: non ci sta allo scaricabar­ile dell’immobilism­o sui partiti, a un Pd che rischia di passare per «frenatore» ed è su questo che insiste con Conte, sulla necessità di «stringere i bulloni» e chiudere i dossier. Anche per non presentars­i a mani vuote alle regionali di settembre, in vista delle quali le alleanze vanno comunque a rilento. In Liguria sul candidato ancora non si chiude e in Campania i Cinque Stelle insistono: mai con De Luca.

Come se non bastasse, il Pd riaccende le polveri della legge elettorale. Il capogruppo alla Camera Graziano Delrio chiede e ottiene la calendariz­zazione per il 27 luglio: «L’accordo di maggioranz­a prevedeva che il taglio dei parlamenta­ri sarebbe stato accompagna­to dalla modifica della legge elettorale per evitare squilibri istituzion­ali. I patti vanno rispettati». Ma l’intesa su un proporzion­ale con soglia di sbarrament­o al 5% adesso per Iv è improponib­ile. E in ogni caso il cammino del testo parte in salita, vista l’incognita dei voti segreti e il rischio ingorgo in Parlamento. E i renziani frenano, con il coordinato­re di Iv Ettore Rosato: «Fuori dal palazzo le priorità degli italiani sono altre».

Ma dal Pd nuovo invito ad agire: «Chiariment­o positivo dopo le incomprens­ioni, il governo ha la forza per decidere e fare le cose»

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