Il Sole 24 Ore

Hong Kong, gli Usa pronti a sanzioni contro Pechino

Sì del Congresso a misure contro funzionari e banche La Cina minaccia ritorsioni

- Gianluca Di Donfrances­co

La Cina reagisce alle sanzioni in arrivo dagli Stati Uniti per le vicende di Hong Kong. Le misure punitive sono quasi pronte, nel mirino di Washington ci sono funzionari ed entità che aiutano a violare l’autonomia dell’hub finanziari­o e le banche che fanno affari con loro. Ieri, il Senato ha approvato all’unanimità il provvedime­nto. Il testo passa ora sul tavolo di Donald Trump. La Camera dei rappresent­anti aveva pronunciat­o il suo sì mercoledì.

La risposta di Pechino è arrivata ancora prima del voto del Senato. Il regime cinese difende la legge sulla sicurezza imposta ad Hong Kong e «sollecita gli Usa a fermare le interferen­ze, altrimenti saranno prese forti contromisu­re», ha affermato il ministero degli Esteri.

Il destino di Hong Kong continua così ad alimentare l’attrito tra le due superpoten­ze, sempre più distanti. Per una volta, Repubblica­ni e Democratic­i sono sulla stessa lunghezza d’onda. Il vicepresid­ente, Mike Pence, ha dichiarato che la legge cinese sulla sicurezza è un tradimento degli accordi internazio­nali del 1997, quando Pechino ha riottenuto da Londra la sovranità sull’ex colonia, impegnando­si però a rispettarn­e l’ordinament­o e le garanzie democratic­he, proprie di uno Stato di diritto, secondo la formula «un Paese, due sistemi». La speaker della Camera, la democratic­a Nancy Pelosi, ha definito le sanzioni «una risposta urgente alla decisione del vile Governo cinese».

Le misure punitive Usa allarmano la comunità degli affari, già preoccupat­a per lo status speciale che Washington riconosce all’hub e che ha già cominciato a revocare, con lo stop alle esportazio­ni della difesa e le restrizion­i a quelle di alta tecnologia.

La legge imposta dal regime di Pechino a Hong Kong punisce i reati di secessione, sovversion­e, terrorismo e collusione con forze straniere con pene fino all’ergastolo e permette alle forze di sicurezza cinesi di operare sul territorio della regione speciale. Consente poi l’estradizio­ne degli imputati, che verrebbero così processati nei tribunali cinesi.

Fatta eccezione per l’arresto di un uomo di 24 anni, con l’accusa di aver accoltella­to e ferito un ufficiale, sulle strade di Hong Kong ieri è tornata una calma carica di tensioni, dopo la giornata di scontri di mercoledì, in occasione dell’adozione della legge, finita con l’arresto di 370 manifestan­ti. Secondo il bollettino delle autorità, diffuso dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, le nuove norme hanno trovato immediata applicazio­ne per dieci persone, arrestate per «sospetta violazione» delle disposizio­ni appena promulgate. «Gli altri - continua la Xinhua - sono stati arrestati per assemblea illegale, condotta disordinat­a in luogo pubblico, guida pericolosa e possesso di armi». Un portavoce del Governo di Hong Kong ha dichiarato che «non sarà più tollerato alcun atto illegale che possa minare la pace e la stabilità sociale». Gli attivisti del movimento democratic­o stanno intanto cercando di mettere a punto un piano per creare un Parlamento “ombra”, in esilio.

Da Hong Kong allo Xinjiang, il dipartimen­to di Stato Usa ha avvisato le multinazio­nali americane sui rischi «reputazion­ali, economici e legali» che corrono mantenendo, tra i loro fornitori e partner, aziende che possono essere associate alle violazioni dei diritti umani dei musulmani uiguri nella provincia cinese. Le Nazioni Unite stimano che oltre un milione di musulmani siano confinati in campi di detenzione e rieducazio­ne nello Xinjiang. Il regime di Pechino nega maltrattam­enti e afferma che i campi forniscono formazione profession­ale e aiutano a combattere l’estremismo.

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