Appalti, le proroghe dei termini complicano il rilascio del Durf
L’impatto dei rinvii per l’emergenza Covid-19 e il nodo del software Reverse charge e split payment: i problemi per chi opera con la Pa
Il passaggio tra le forche caudine degli adempimenti previsti dalla nuova disciplina sulla vigilanza del committente sui versamenti di ritenute da parte di appaltatori/subappaltatori e imprese assegnatarie (articolo 4 del Dl 124/2019) diventa sempre più complicato. Oltre alle difficoltà di comprendere quale procedura abbiano istituito i singoli uffici per il rilascio dei certificati dopo la riapertura da lockdown (comprese le direzioni regionali, competenti sui grandi contribuenti) – con il rischio delle code se non fosse stata implementata una modalità a distanza (si veda «Il Sole 24 Ore» del 30 giugno) – occorre fare riferimento alle differenti situazioni che si possono verificare.
Ipotizziamo qualche caso specifico, ad esempio una impresa (Alfa), rientrante negli obblighi (svolge opere o servizi di importo annuo oltre 200mila euro con il medesimo committente, con prevalenza di manodopera presso la sede di quest’ultimo e utilizzo dei beni strumentali che il committente mette a disposizione), la quale a febbraio, in sede di prima applicazione delle novità, ha ottenuto dall’Agenzia il certificato di regolarità fiscale (Durf) e lo ha inviato al committente. Il certificato è riferito all’ultimo giorno del mese precedente (31 gennaio) e, ordinariamente, avrebbe avuto validità quattro mesi dal rilascio (provvedimento 6 febbraio 2020), ma occorre considerare che, a norma dell’articolo 23 del Dl 23/2020, tutti i certificati emessi entro il 29 febbraio hanno validità fino al 30 giugno 2020. Occorre, quindi, richiedere un nuovo certificato, che può essere rilasciato solo da venerdì 3 luglio (terzo giorno lavorativo successivo alla fine del mese precedente) e va inviato al committente entro giovedì 23 (quinto giorno lavorativo successivo alla scadenza dei versamenti delle ritenute). E qui potrebbero cominciare i problemi.
È opportuno chiedersi se il software delle Entrate sia aggiornato con tutti i differimenti in tema di riscossione previsti dai decreti emergenziali (da ultimo il Dl rilancio), i quali impattano sulla condizione di cui alla lettera b) del comma 5 dell’articolo 17-bis del Dl 241/97 (non avere iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’Irap, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50mila euro, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione). Il rischio è che venga negata una certificazione a chi, in realtà, è ancora nei termini per pagare.
Se poi (come accadrà di frequente) Alfa opera in edilizia o principalmente verso Enti pubblici, rispunta il problema del reverse charge e dello split payment, meccanismi che possono impedire ad Alfa di centrare la condizione di cui alla lettera a) del comma 5, vale a dire aver eseguito, nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio, versamenti complessivi registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime.
Il problema è stato condiviso dal Mef nella risposta data il 4 marzo 2020 in Commissione finanze alla Camera, ma non è dato sapere se, operativamente, è stato risolto. Così come non risulta sia stato risolto il problema (segnato più volte sul Sole 24 Ore oltre che da Assonime, con circolare 9/2020) dei consorzi e delle società consortili che acquisiscono gli appalti e poi li fanno svolgere dai consorziati pur mantenendo alcune funzioni operative come la direzione lavori, trovandosi così molto spesso nella situazione di chi non supera l’asticella dei versamenti sul conto fiscale. Ottenere, attraverso il certificato, altri quattro mesi di buoni rapporti con il committente non è, quindi, impresa da poco.