Ristorazione in dissesto: a rischio le competenze
Crescono i timori per la tenuta di un settore che gioca un ruolo determinante per l’intera filiera agroalimentare
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Il timore non è soltanto il crollo dei ricavi per 286mila aziende della ristorazione, con almeno 50mila di queste a rischio chiusura. La preoccupazione più grande è disperdere un patrimonio di competenze che sarà poi difficile recuperare e un tessuto imprenditoriale che, oltre a un valore economico, gioca per il Paese anche un ruolo sociale, di aggregazione e convivialità, osserva il presidente di Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi), Enrico Stoppani.
«Il settore è in dissesto e non è un’esagerazione: è una constatazione fatta con grande dispiacere – commenta Stoppani –. I danni economici per gli imprenditori sono spaventosi, ma quello che preoccupa di più è il rischio di perdere le competenze». I numeri parlano chiaro: i consumi fuori casa rappresentano circa un terzo della spesa alimentare in Italia (con 96 miliardi di euro l’anno), ma sono il primo settore della filiera agroalimentare (dall’agricoltura alla somministrazione) per valore aggiunto, pari a 46 miliardi di euro. E proprio alla ristorazione – o meglio al canale dell’HoReCa – è da imputare il calo dell’8,1% della produzione alimentare registrata dall’Istat in aprile.
«Nel secondo trimestre del 2020 abbiamo registrato un crollo di 13 miliardi di euro, che vanno sommati ai 4,3 miliardi persi nei primi tre mesi – spiega Luciano Sbraga, direttore del Centro studi Fipe –. Nella peggiore delle ipotesi prevediamo di chiudere l’anno con una perdita di 28 miliardi, nell’ipotesi più ottimistica a -22 miliardi». Stando al monitoraggio condotto da Fipe tra gli esercenti, alla quarta settimana dalla riapertura (avvenuta il 18 maggio), il 95% di bar e ristoranti in Italia aveva ripreso le attività, ma il recupero sugli incassi era appena del 50%, con una flessione di circa il 27% nel numero di addetti (1,2 milioni di lavoratori, di cui 230mila a termine). A pesare, spiega Stoppani, sono soprattutto la mancanza dei turisti stranieri – la cui spesa vale circa 9 miliardi – il prolungarsi dellosmart dello smart working in molte aziende, la mancanza di eventi e pranzi d’affari.
L’impatto è per le imprese dell’HoReCa, ma anche per la filiera alimentare, in particolare per le produzioni di alta qualità: «Le nostre imprese comprano 20 miliardi di euro di prodotti ogni anno – osserva Sbraga –. Siamo determinanti, soprattutto per il settore vinicolo: i grandi vini transitano principalmente attraverso la ristorazione».
Al governo la Fipe ha chiesto provvedimenti emergenziali, «per impedire la chiusurae delle aziende – spiega il presidente Stoppani –, rafforzando le misure di indennizzo e garantendo il mantenimento dei livelli occupazionali per salvare le competenze». Da parte delle imprese, dice ancora Stoppani, è necessario continuare a investire, nonostante la difficoltà del momento, per innovare il settore favorendo la trasformazione digitale, migliorare il capitale umano e valorizzare l’identità italiana.
È la linea scelta da McDonald’s, che in Italia conta 600 ristoranti, per il 91% in franchising, e 24mila collaboratori, con un fatturato 2019 di 1,6 miliardi di euro: «Per due mesi abbiamo fatto zero entrate – spiega l’amministratore delegato di McDonald’s Italia, Mario Federico –. E anche adesso siamo ben lontani dai livelli pre-Covid: il canale dell’asporto, che prima incideva per il 20% sui ricavi, è salito al 40%, ma i ristoranti oggi fatturano la metà». Eppure, la strategia è «ricominciare dai piani che avevamo prima della pandemia», spiega Federico, confermando gli investimenti annunciati a inizio anno, ovvero l’apertura di altri 30 ristoranti entro il 2020, 100 in tre anni, con un investimento di un miliardo.
Anche Cir Food, uno dei principali attori italiani della ristorazione collettiva, non è fermo: «Le stime per quest’anno sono di un -40%, in linea con il settore – ammette Giordano Curti, direttore generale dell’azienda reggiana che occupa 13mila lavoratori (12mila in Italia) e nel 2019 ha realizzato 686 milioni di euro di ricavi –. Un terzo del nostro business deriva dalle mense di scuole e università, che da marzo sono a zero. Per tutto il lockdown abbiamo lavorato soltanto con le nostre insegne all’interno delle strutture sanitarie. Nel commerciale e aziendale abbiamo perso l’80% e oggi abbiamo recuperato appena un terzo dei livelli normali». Ma la reazione è stata immediata: «Abbiamo messo in sicurezza i dipendenti, dal punto di vista sanitario ed economico, anticipando la cassa integrazione – spiega Curti –. Per il futuro, investiamo sulla digitalizzazione e sprerimentiamo modelli di ristorazione collettiva, scuola in primis, per i prossimi mesi».
Il Centro studi Fipe prevede una chiusura dell’anno con una perdita di 28 miliardi (22 miliardi lo scenario migliore)