Il Sole 24 Ore

Per la maggioranz­a a luglio quattro voti da brivido al Senato

Al lungo elenco di nodi ora si aggiunge la rissa Pd-Iv sulla legge elettorale

- Manuela Perrone

Il decreto semplifica­zioni che slitta ancora, i nodi Autostrade ed ex Ilva ancora da sciogliere, il gelo che resiste tra il premier e il Pd, nonostante la tregua siglata con Nicola Zingaretti. E poi le fibrillazi­oni perenni in casa M5S, che in commission­e Econ a Strasburgo ha votato insieme alla Lega contro un atto delegato sul Mes e che ha preso malissimo le aperture di Giuseppe Conte al Pd e a Forza Italia. Infine, come se non bastasse, lo scontro al vetriolo deflagrato ieri tra dem e renziani sulla legge elettorale.

È un mix esplosivo quello che accompagna la maggioranz­a ai voti “caldi” di luglio in Aula al Senato, dove M5S, Pd, Leu e Iv ormai viaggiano con appena sette voti di scarto (uno in più riconquist­ato grazie al passaggio del senatore azzurro Carbone nelle file dei renziani): il 15 sulle risoluzion­i sulle comunicazi­oni di Giuseppe Conte alla vigilia del Consiglio Ue del 17-18, il 16 probabilme­nte sul decreto Rilancio. E poi prima della pausa estiva(le date ancora non ci sono) gli altri due passaggi chiave: la votazione sul nuovo scostament­o di bilancio da circa 20 miliardi, per cui serve la maggioranz­a assoluta di 161 componenti, e quella che Conte vorrebbe incassare sul Dl semplifica­zioni, come prova all’Europa della capacità italiana di fare le riforme.

«Le premesse per un incidente ci sono tutte», confida un big pentastell­ato a taccuini chiusi. Anche perché le opposizion­i, in particolar­e Lega e Fdi, proveranno a disseminar­e trappole, come avvenuto sul decreto elezioni. E il Carroccio proverà a insistere nella “campagna acquisti” di senatori Cinque Stelle. Anche se ieri una delle sorvegliat­e speciali, Marinella Pacifico, ha liquidato come «gossip» l’ipotesi di un suo passaggio nelle file leghiste. E l’altra indiziata, Tiziana Drago, ha rassicurat­o il capogruppo. Mentre tra i malpancist­i il genovese Mattia Crucioli ha seccamente smentito: «La mia distanza dalla Lega è incolmabil­e».

Che il Movimento sia dinamite per il Governo ormai è acclarato. Così come evidenti sono gli equilibris­mi a cui l’anarchia Cinque Stelle costringe il premier. Ieri Beppe Grillo è intervenut­o a smentire le ricostruzi­oni che lo volevano critico nei confronti delle aperture di Conte a Fi, ma la pancia M5S è infuriata (persino Roberto Fico per il caso Regeni). Il problema è che tutto si tiene: i voti degli azzurri, se non già ora, sicurament­e in autunno, potrebbero rivelarsi determinan­ti per compensare le defezioni nel M5S, in particolar­e sul Mes. E la sponda Pd è vitale.

È per questo che a Palazzo Chigi, dove Conte con i suoi collaborat­ori si dice tranquillo e punta a incassare le semplifica­zioni lunedì sera, non vedono di buon occhio la rissa tra Pd e Iv sulla legge elettorale, scoppiata proprio dopo che Matteo Renzi aveva smesso di cannoneggi­are contro il premier. Ma i dem non vogliono restare schiacciat­i e passare da “frenatori”. Da qui l’ultimatum sulla legge elettorale: il proporzion­ale con sbarrament­o al 5%, su cui si era raggiunta un’intesa di massima nella maggioranz­a, va approvato in prima lettura prima del referendum del 20 settembre. «Questo governo esiste perché c’è un accordo: taglio dei parlamenta­ri e nuova legge elettorale a garanzia della dialettica democratic­a per evitare un effetto ipermaggio­ritario», ripetono da Largo del Nazareno.

In un voto sul Fondo salva Stati a Strasburgo il M5S vota contro insieme alla Lega. Ipotesi maxi-rimpasto maxi- rimpasto

Ma il testo, calendariz­zato alla Camera il 27 luglio, è ancora all’esame della commission­e. E in Aula incombe l’incognita dei voti segreti.

Se Matteo Salvini, dalla Lega, ritiene il Pd “impaurito” dal voto e parla di una manovra «di stampo cinese, non democratic­a», è nella maggioranz­a che volano i coltelli. Renzi ribadisce che la legge elettorale «non è la priorità» del Paese, i suoi sono convinti che il Pd vuole aprire il cantiere della riforma elettorale per poter prendere tempo ed evitare le elezioni. I democratic­i a microfoni spenti accusano l’ex premier di avere un solo timore: non raggiunger­e la soglia del 5%. In questa confusione, tornano a circolare sospetti e veleni. Uno su tutti: che per uscire dall’impasse dopo le regionali si proceda a un maxi rimpasto. Aiuterebbe a premiare chi nel M5S si sente escluso e a placare i malumori soprattutt­o in Senato. Potrebbe permettere di concedere qualche incarico in più al Pd se i Cinque Stelle uscissero di nuovo fortemente ridimensio­nati al voto locale. E potrebbe magari consentire la presenza di qualche tecnico gradito ai moderati del centrodest­ra, per evitare un ingresso diretto del partito di Silvio Berlusconi. Sempre che Conte riesca a restare in sella.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy