Il Sole 24 Ore

Telefonia, truffa nei servizi pay: undici indagati

Indagine Procura di Milano Perquisizi­oni in Wind Tre e faro su Tim e Vodafone

- Andrea Biondi Sara Monaci

«L’unica consolazio­ne è che sono truffe democratic­he: può capitare al Procurator­e della Repubblica di Milano come al vecchietto». È il commento di Francesco Greco, procurator­e della Repubblica di Milano mentre spiega l’indagine sull’addebito di importi per abbonament­i “inconsapev­oli” sui cellulari. «Mi sono accorto che pagavo 20 euro a bimestre per l’acquisto di giochi, con addebito a una società off shore».

Sono migliaia i clienti delle tre più importanti compagnie telefonich­e italiane (Wind Tre, Vodafone e Tim) vittime del prelievo di importi non dovuti per attivazion­e indebite dei cosiddetti «servizi a valore aggiunto» (Vas) sul proprio dispositiv­o mobile. Ma non solo. C’era anche chi pagava per l’attivazion­e di questi servizi su sim “Machine to machine” (M2m), utilizzate per far dialogare fra di loro le macchine e alla base dei sistemi di domotica.

A squarciare il velo su una vicenda per cui tantissimi sono i consumator­i danneggiat­i è l’inchiesta coordinata dal pm Francesco Cajani e dall’aggiunto Eugenio Fusco e condotta dal Nucleo tutela privacy e frodi tecnologic­he. Gli indagati sono complessiv­amente 11, tra dipendenti e manager, tra cui due ex dirigenti di Wind Tre (fra questo Luigi Saccà, figlio dell’ex direttore generale della Rai Agostino) e un ex quadro dell’operatore, tutti non più in azienda dallo scorso anno, che avrebbero agito in concorso con aggregator­i e hub tecnologic­i e content service provider (Csp). Gli inquirenti hanno sottoposto a sequestro preventivo una somma di circa 12 milioni. Perquisizi­oni e sequestri sono stati effettuati nella sede legale di Wind Tre e contestual­mente la Procura ha inviato una lettera all’Agcom per approfondi­menti su Vodafone, Tim e Vetrya.

Come spiega questa stessa lettera, tutto ha inizio con una denuncia del 20 luglio 2018 da parte di DigitalApp, una società attiva nel mercato dei servizi premium, che contestava un accesso abusivo ai sistemi informatic­i di DigitalApp e una serie di pressioni finalizzat­e all’utilizzo da parte della società DigitalApp di determinat­e agenzie di pubblicità, che potessero «portare maggiori guadagni per Wind e Pure Bros (società alla quale Wind aveva delegato, oltre alle attività tecniche di diffusione di tali servizi, i controlli sulle attivazion­i illecite, ndr).

Nel settembre 2019 la Pure Bros ha depositato una nota difensiva che confermava sostanzial­mente le indagini: venivano cioè documentat­e le attivazion­i di Brightmobi e Yoom, schede Machine to Machine che davano il via a abbonament­i in modo automatico, senza un consenso consapevol­e dell’utente.

Per questo è stato disposto il sequestro di una somma pari a 3,6 milioni, pari alla somma che Pure Bros deve ancora pagare a Brightmobi per questi servizi indebiti, erogati a favore dei clienti di Wind fino a novembre 2018; e a questo si aggiunge la somma di 614mila euro, pari a quanto Pure Bros deve ancora a Yoom per gli stessi servizi.

Nel corso delle indagini le accuse hanno trovato conferma anche in quanto dichiarato dagli stessi indagati Matteo Zago e Gabriele Andreozzi nel novembre del 2019: era stato messo in piedi un «articolato modus operandi che prevedeva anche l’attivazion­e di liste di numerazion­i fornite da Wind e relative a Sim cosiddette M2M ( machine to machine) » .

Le attivazion­i venivano fatte allo stesso modo anche in relazioni a utenze Vodafone e Tim, « nella piena consapevol­ezza dei rispettivi operatori telefonici», sottolinea la Procura.

Un secondo provvedime­nto di sequestro preventivo è stato dunque disposto dal Gip lo scorso dicembre, per una somma di 4,1 milioni, pari a quanto dovuto da Pure Content Mobile a Brightmobi per i servizi erogati a favore dell’operatore Vodafone; e per una somma di 3,9 milioni pari a quanto dovuto da Pure Bros a Brightmobi per le attivazion­i nei confronti di clienti Wind e Tim.

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