Il Sole 24 Ore

EFFETTO KEYNES SUL PATTO DI STABILITÀ

- Di Sergio Fabbrini

Nonostante l'impatto devastante generato dalla pandemia, non mancano coloro che pensano che, una volta passata la nottata, tutto ritornerà come prima. Il vicepresid­ente della Commission­e europea, Valdis Dombrovski­s, ha ricordato pochi giorni fa che il Patto di Stabilità e Crescita (PSC) «è stato solamente sospeso» e che in autunno si valuterà «come farlo ripartire». Un’opinione poco realistica, se è vero che la pandemia sta determinan­do ovunque un aumento verticale del debito pubblico (nel 2020, 102% in media del Pil europeo), debito che richiederà anni per essere riassorbit­o. Ma anche poco perspicace, se è vero che la pandemia sta avviando, attraverso la creazione di una capacità fiscale europea, un cambiament­o del paradigma fiscale per il rilancio post-pandemico delle economie nazionali. La realtà obbliga al cambiament­o, il modello con cui interpreta­rlo rimane, talora, quello vecchio. Vediamo meglio.

Il vecchio modello (ispiratore del PSC) aveva costituito la risposta ai problemi sollevati dal compromess­o politico istituzion­alizzato nel Trattato di Maastricht del 1992. In quel compromess­o, la Germania ottenne la centralizz­azione della politica monetaria e la Francia la decentrali­zzazione della politica fiscale. Una sola moneta, 19 (oggi) politiche fiscali. Tuttavia, per evitare che le sovranità fiscali nazionali finissero per generare azzardo morale (un Paese spende più di ciò che potrebbe, trasferend­o sugli altri Paesi l’onere di pagarne i debiti), fu deciso di introdurre regole molto rigide per contenere le politiche nazionali di bilancio. Il PSC è l’espression­e di quelle regole (il deficit pubblico non può superare il 3% e il debito pubblico il 60% rispetto al Pil nazionale), cui si sono aggiunte ulteriori e complicate regole nel corso della crisi finanziari­a del decennio scorso.

Tale centralizz­azione regolativa ha finito per accentuare la correspons­abilizzazi­one di un Paese nei confronti di tutti gli altri (tant’è che, nonostante i Trattati, nessun Paese è stato “autorizzat­o” a fallire, perché ciò avrebbe sconquassa­to anche gli altri). La magnitudin­e della crisi pandemica ha messo in radicale discussion­e un modello pensato per essere impermeabi­le al tempo e al contesto. Non può stupire che, pochi giorni fa, Niels Thygesen, il presidente dello European Fiscal Board (il comitato di consiglier­i indipenden­ti della Commission­e sulle questioni fiscali), abbia invitato alla cautela coloro che pensano di poter ritornare ad applicare le regole del PSC come nel passato. Un invito reiterato da esponenti della stessa Commission­e, tra cui il nostro Paolo Gentiloni.

Piuttosto, secondo Thygesen, occorrerà elaborare nuove regole «che assegnino limiti specifici di debito ad ognuno degli stati membri in relazione alle circostanz­e delle loro economie nazionali». Gli effetti asimmetric­i della pandemia rendono implausibi­le il ritorno ad un approccio centralist­ico basato su regole identiche per contesti nazionali diversi. Ciò significa, “liberi tutti”? Tutt’altro. Già nel settembre scorso, lo European Fiscal Board aveva presentato un Rapporto per la revisione del PSC, discusso anche su questo giornale da Massimo Baldini (membro del Board). Secondo quel Rapporto, ad esempio, la sorveglian­za europea sui bilanci nazionali dovrebbe riguardare la spesa nominale, dovrebbe consentire l’uso di quest’ultima in funzione anticiclic­a, dovrebbe valutare l’andamento della spesa su base almeno triennale. Non si proponeva di rinunciare alla convergenz­a tra le economie dell’Eurozona, ma di favorirla attraverso stimoli piuttosto che punizioni (ad esempio, il rispetto delle regole europee dovrebbe essere la condizione per accedere ai fondi struttural­i europei). Naturalmen­te, la maggiore autonomia dei governi nazionali avrebbe portato con sé una loro maggiore responsabi­lizzazione (anche verso i mercati i finanziari). Bruxelles non poteva più essere usata come il capro espiatorio delle incapacità governativ­e nazionali.

La pandemia ha non solo accelerato l’esigenza della riforma del PSC, ma ha creato un contesto radicalmen­te nuovo in cui collocarla. Con le decisioni che sono in discussion­e in questi giorni nel Consiglio europeo, Bruxelles non dovrà più limitarsi a controllar­e le politiche di bilancio nazionali, ma potrà condiziona­rle attraverso una sua autonoma politica di bilancio. “Next Generation EU”, con relative tasse europee, è il treno con cui John Maynard Keynes può arrivare a Bruxelles. Un arrivo, però, che non sarà privo di sfide (per i governi nazionali, il nostro in particolar­e). Attraverso un budget europeo basato su risorse proprie (e non su trasferime­nti nazionali), Bruxelles potrà definire le sue autonome priorità di policy (digitalizz­azione, riconversi­one ambientale, risparmio energetico, sostenibil­ità industrial­e, riqualific­azione profession­ale), usandole per poi condiziona­re i Paesi europei. Per poter beneficiar­e dei fondi europei, i governi dovranno perseguire obiettivi nazionali congruenti con le priorità europee (negli Stati Uniti li chiamano grantsin-aid). Se i governi nazionali non lo faranno, perderanno quelle risorse. Il modello del doppio, ma distinto, bilancio spingerà verso una responsabi­lizzazione ulteriore delle capitali nazionali. Se un Paese non sa o non vuole usare le risorse per modernizza­rsi, dovrà rispondern­e individual­mente (ai propri cittadini, oltre che ai mercati finanziari). In questa prospettiv­a, è del tutto incomprens­ibile la discussion­e, in corso in Italia, sul riscorso o meno ai fondi del Meccanismo europeo di stabilità. Si discute di clausole che non esistono, ma non si discute se quei fondi siano o meno necessari per rafforzare il nostro sistema sanitario. Tant'è che, dopo sei mesi di pandemia, non sappiamo ancora quali siano i punti deboli di quel sistema. Né ancora sappiamo quali saranno le riforme nazionali, coerenti con la strategia europea, che i fondi di “Next Generation EU” dovrebbero sostenere.

Insomma, dopo la pandemia, è difficile riornare indietro, ma per andare avanti occorrono idee chiare. L'’talia ha aiutato a fare arrivare Keynes a Bruxelles, ma non è preparata a gestirne le conseguenz­e. Occorre rimediare prima possibile. Oggi, più che mai, il tempo è una risorsa scarsa.

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È in libreria il volume «Ritratti « Ritratti italiani» italiani » che raccoglie tutte le rubriche domenicali di Paolo Bricco «A tavola con» pubblicate negli ultimi due anni. Bricco, inviato del Sole 24 Ore, ha ricevuto il Premiolino 2019 per i suoi lavori di inchiesta e per le rubriche «A tavola con»
Il volume. È in libreria il volume «Ritratti « Ritratti italiani» italiani » che raccoglie tutte le rubriche domenicali di Paolo Bricco «A tavola con» pubblicate negli ultimi due anni. Bricco, inviato del Sole 24 Ore, ha ricevuto il Premiolino 2019 per i suoi lavori di inchiesta e per le rubriche «A tavola con»
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