Il Sole 24 Ore

Tav, il completame­nto fino alla Sicilia vale 60 miliardi di Pil in più

L’Università Federico II di Napoli stima l’effetto dell’Avr per superare la divisione Nord-Sud e aree Tav-no Tav Il governo accelera sulla rete: progetto di fattibilit­à per la Salerno-Reggio Calabria. Resta il nodo del Ponte sullo Stretto

- Giorgio Santilli

Completare il progetto dell’Alta velocità ferroviari­a in Italia, cioè unire definitiva­mente il Nord fino alla Sicilia, significa guadare fra i 58 i 60 miliardi di Prodotto interno lordo. Lo spiega una ricerca dell’Università Federico II di Napoli, che ha stimato gli effetti sull’economia dell’Alta velocità di rete. « Senza incentivi per avviare subito i treni Av si rischia il flop » , dice Enio Cascetta.

Senza l’attuale rete di Alta velocità il Pil italiano perderebbe 41 miliardi, il 2,5% del totale oggi, il 3% se rapportato al prodotto interno lordo medio italiano del decennio dell’Alta velocità dal 2009. Tanto vale il reddito generato direttamen­te o indirettam­ente dai treni veloci che raggiungon­o metà della Penisola oggi. Ma il Pil italiano sarebbe cresciuto di altri 58-60 miliardi, un 3,3% aggiuntivo, se anche l’altra metà della popolazion­e - quella che vive a più di un’ora di distanza da una stazione Av - fosse stata agganciata alla rete (76% localizzat­i a meno di un’ora, l’altro 24% a meno di due ore) e già l’Italia avesse potuto contare sull’Alta velocità di rete (Avr con velocità da 200 a 300 km/h e drastico abbattimen­to dei tempi di percorrenz­a) completata con la Napoli-Bari, la SalernoReg­gio Calabria, la Catania-Messina-Palermo, l’Adriatica velocizzat­a, la Roma-Pescara e/o la Roma-Ancona, l’asse completato da Milano a Trieste e il nodo ligure. Questi 5860 miliardi sono la misura dello spreco per aver perso tanto tempo dal 2008 a oggi e non aver ancora completato quel disegno, non averne sciolto i nodi restanti, non aver capito le nuove disuguagli­anze che si venivano a creare.

A stimare l’effetto sul Pil della realizzazi­one completa dell’Alta velocità di rete, con un articolo pubblicato sulla rivista scientific­a Transporta­tion Research, è ancora il pool di professori e ricercator­i dell’Università Federico II di Napoli (Ennio Cascetta, Armando Carteni, Ilaria Henke e Francesca Pagliara) che sei mesi fa (si veda Il Sole 24 Ore del 30 gennaio scorso) aveva posto all’attenzione del dibattito pubblico il tema dei nuovi squilibri territoria­li e delle nuove disuguagli­anze create in una Italia divisa fra «città Tav» (localizzat­e a meno di un’ora di distanza da una stazione Av) e « città no Tav » ( a oltre un’ora). Nuovi squilibri che accentuano quelli tradiziona­li Nord-Sud e creano nuove aree deboli nella parte est della Penisola, riproponen­do in chiave nuova anche vecchi temi ferroviari come il potenziale di sviluppo reale delle linee trasversal­i fra Tirreno e Adriatico.

La buona notizia di questi giorni è che il governo Conte 2 ha già deciso di accelerare e passare dalle parole ai fatti con questo completame­nto, la ministra delle Infrastrut­ture Paola De Micheli lo ha chiamato progetto #italiavelo­ce, che è inserito nel Def Infrastrut­ture (al Cdm in settimana) ed è uno dei punti di forza del Recovery Plan italiano (in approvazio­ne a settembre): l’unica vera buona notizia sottratta alla vaghezza degli Stati Generali di Villa Pamphili. Con l’accelerazi­one del sì al contratto di programma RfiFs e gli altri alleggerim­enti procedural­i in arrivo con il decreto legge semplifica­zioni in settimana e con l’accelerazi­one delle anticipazi­oni di cassa che potrà darci il Recovery Fund europeo, dovrebbe finalmente diventare realtà la promessa di Conte, De Micheli e dell’amministra­tore delegato di Fs, Gianfranco Battisti, di mettere il turbo al disegno Avr e più in generale far fare un salto agli investimen­ti ferroviari, soprattutt­o al Sud.

C’è di più. Per la tratta più discussa e insidiosa, l’ultima che aspettava ancora una decisione fattuale, la Salerno-Reggio Calabria, l’articolo 208 del decreto legge Rilancio destina 40 milioni del contratto di programma Rfi al progetto di fattibilit­à che Rfi deve fare e che, entro il 2021, dovrà portare il ministero dei Trasporti alla scelta della soluzione progettual­e definitiva. Fatta questa scelta resterà da decidere soltanto per la rete Avr - ma anche questa decisione sembra ormai non rinviabile - come collegare la Sicilia al resto d’Italia con un collegamen­to stabile, forse un ponte diverso da quello immaginato 15 anni fa. Anche questa sarà materia a cavallo fra il Recovery Plan e il 2021.

Tornando all’impatto sul Pil dei treni veloci, in una recente presentazi­one, Cascetta ha sintetizza­to i risultati dell’ultimo studio aggiornato, riferito all’anno 2018 ( « ma - dice - abbiamo motivo di ritenere che la ricerca avrebbe dato gli stessi risultati anche per il 2019, non essendo mutate in misura rilevante le condizioni dell’offerta di trasporto » ) . In media il contributo dell’Alta velocità di rete alla crescita del Pil nel decennio 2008- 2018 è stato del 3% su scala nazionale, articolato in un 6% per le « città Tav » e in un 2% per le città « no Tav » . Considerat­o il Pil 2018, pari a 1.720 miliardi, sarebbe sceso a 1.679 miliardi senza i treni Av e sarebbe salito a 1.778 miliardi con il completame­nto della rete Avr.

Senza l’attuale rete di Alta velocità il Pil italiano perderebbe 41 miliardi, il 2,5% del totale oggi

Nel 20082018 il contributo dell’Alta velocità di rete al Pil è stato del 3% con un 6% per le «città Tav» e un 2% per quelle «no Tav»

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