La risposta è nella prevenzione
Cingolani: «La tecnologia ha piegato l’ecosistema ai nostri bisogni generando tre debiti: economico, ambientale e cognitivo»
Una lampada solare portatile in grado di catturare il sole batte uno smartphone di ultima generazione. Così la pensano al British Museum di Londra. Qualche tempo fa, sotto la guida del direttore Neil MacGregor, il museo ha raccolto la sfida lanciata dalla Bbc per indicare i cento oggetti che hanno segnato la storia dell’uomo. Dopo un acceso confronto per rappresentare l’ultima decade, al posto del diffusissimo smartphone è stata scelta proprio una lampada con protesi di silicio prodotta in India per soli 45 euro. Si tratta di un manufatto composto da un faro grande quanto una tazza da tè, ma capace di illuminare a giorno una stanza grazie ad un pannello solare di piccole dimensioni.
Potrebbe sembrare un paradosso, ma in questi anni connessi l’accesso all’energia sostenibile diventa più rappresentativo di una navigazione sullo stream costante dei social. La lampada solare esprime speranza che la tecnologia riesca a portare a tutta l’umanità soluzioni economiche e a basso impatto ambientale. D’altronde oggi più di un miliardo di persone affronta la quotidianità senza rete elettrica e altri sei miliardi vivono con una vaga consapevolezza di aver ereditato un pianeta con uno spaventoso debito ambientale. A metterlo nero su bianco sono tre scienziati e professionisti dai curricula differenti che hanno sintetizzato le loro visioni del mondo in un nuovo libro uscito a fine febbraio, proprio nel momento in cui il mondo intero si barricava in casa sotto il peso della pandemia globale. L’epidemiologo Paolo Vineis, il giornalista Luca Carra e il fisico Roberto Cingolani con “Prevenire” anticipato i tempi bui che avremmo vissuto di lì a poco.
I segnali deboli di questa fragilità globale erano evidenti da tempo. «Da almeno dodicimila anni abbiamo sviluppato tecnologie che hanno aumentato le nostre prestazioni fisiche e mentali, piegando l’ecosistema ai nostri bisogni alimentari e antropizzando il pianeta. Ciò ha migliorato la qualità della vita, ma ha generato tre debiti: economico-sociale, ambientale e cognitivo. Quest’ultimo afferisce alla crescente complessità delle interazioni dell’individuo con il resto della società», afferma Roberto Cingolani, fondatore nel 2005 dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova e oggi corporate chief technology and innovation officer per Leonardo.
A caccia del quadro intero
Dal triplo debito alle contraddizioni di un mondo travolto dalle disuguaglianze sanitarie, sociali, economiche, valoriali, sistemiche. Lo ha denunciato pochi giorni fa anche il Guardian, suggerendo come risposta il quadro intero, quel “the whole picture” coniato nel lontano 1984 e che ancora oggi è di stretta attualità. Così la risposta sta nell’insieme. «La convergenza è essenziale e nessuno dei fenomeni contemporanei preso isolatamente comporta una soluzione semplice. Tuttavia le prospettive di successo saranno molto maggiori se vi sarà una collaborazione intersettoriale. Il digitale resta un’opportunità straordinaria, ma è anche un’arma a doppio taglio perché implica strumenti utili, potenti, ma complessi da maneggiare. È un facilitatore, ma sta rafforzando il debito cognitivo: l’opinione pubblica non è ancora abituata a comprendere la complessità. È come essere neopatentati e guidare una Ferrari. Ci vuole consapevolezza», precisa Cingolani.
Perché siamo sì interconnessi, ma la chiave è la visione sistemica: per esempio la riduzione del cibo-spazzatura ha un impatto sull’obesità, sull’inquinamento, sul cambiamento climatico. Di fatto è una questione di prospettiva. «Nel mondo cinque anni fa settemila persone sono morte a causa del terrorismo, mentre 1 milione 800mila di diabete e addirittura 1,2 milioni per incidenti automobilistici. La prevenzione deve essere intersettoriale», puntualizza Cingolani.
Oltre il localismo
Sfide ambientali che diventano sociali. «Il problema delle disuguaglianze è lampante. In fondo l’ha insegnato questa crisi: laddove c’è un sistema sanitario non diffuso e capillare l’incidenza al virus è stata più elevata. Noi per esempio siamo stati il primo Paese occidentale ad avere avuto l’impatto col Covid19, ma siamo riusciti a mitigare il danno perché strutturati in maniera sociale e distribuita», precisa Cingolani. La sfida interroga le nostre coscienze di cittadini, ma chiama in causa anche gli scienziati diventati giocoforza influencer, che devono diventare però accessibili, comprensibili, persino empatici. «Serve una nuova tecnopolitica basata sulla prevenzione, capace di guidare lo sviluppo umano. Per questo occorre che la scienza impari a essere interdisciplinare e molto più diffusa e partecipata dalla popolazione». Visioni di insieme, geografiche e culturali. Perché ciascuna di queste crisi trascende i confini nazionali e richiede soluzioni globali. «È necessaria una dimensione internazionale della salute, dell’ambiente e dell’economia che prevalga sulle chiusure localiste improntate alla paura dell’altro: il localismo non può funzionare», ribadisce Cingolani. Abbattere i muri eretti anche dal lockdown e ripartire da una rinnovata interdisciplinarietà.