L’ultimatum di Conte: proposta convincente o scatterà la revoca
Il premier punta a un’intesa martedì, se si supereranno i veleni nella maggioranza
«O arriva in extremis una proposta cui il governo non potrà dire di no, perché particolarmente vantaggiosa per la parte pubblica, oppure alla fine ci sarà la revoca». Da Venezia, dove ha partecipato alla prova generale di innalzamento delle paratoie del Mose, Giuseppe Conte ha lanciato ufficialmente l’ultimatum ad Aspi che il governo aveva fatto filtrare giovedì sera dopo l’incontro tecnico al Mit.
In «poche ore», come ha sottolineato accanto a lui la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli, ci si aspetta dunque una nuova offerta dalla società guidata dall’Ad Roberto Tomasi che vada ben oltre i 2,9 miliardi messi sul piatto finora oltre al programma di investimenti straordinari da 14,15 miliardi. Un piano che per il governo dovrà includere la piena accettazione del sistema tariffario più equo previsto dall’Autorità di regolazione dei trasporti, tasto su cui insiste in particolare il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Ma soprattutto una formula che abbia i numeri per permettere al premier e alla maggioranza, travolta dai veleni, di potersi sedere intorno a un tavolo e di poter davvero accantonare l’ipotesi revoca. Che in fondo, con l’indennizzo di quasi 8 miliardi da pagare ad Aspi e il rischio di un contenzioso lungo e oneroso, vorrebbero evitare tutti, anche la maggior parte dei Cinque Stelle, come confermano le dichiarazioni di ieri dei viceministri Stefano Buffagni e Giancarlo Cancelleri, che spostano la linea del fronte dalla revoca alla condizione dei «Benetton fuori da Aspi».
Il Consiglio dei ministri convocato lunedì alle 9 non sarà quello decisivo (all’ordine del giorno prevede soltanto leggi regionali), ma prima della partenza del premier per Berlino un vertice dedicato non è escluso. Dovrebbe invece essere martedì mattina il Cdm per chiudere il dossier Autostrade. «La quadra va trovata subito», dice il premier ai collaboratori. Il clima è però tesissimo. Il Pd non ha gradito l’insofferenza che da giorni Conte manifesta nei confronti dei «ministri competenti», De Micheli e Gualtieri, indicandoli tra le righe come i responsabili dei ritardi sulla vicenda Aspi. E sebbene nel Partito democratico non manchino i malumori anche per come la ministra ha gestito il confronto con la società, dal Nazareno il vicesegretario Andrea Orlando si assume il compito di ricordare che «il Pd non ha mai chiesto rinvii»: i tempi «li decide il governo», ovvero Conte, «e per noi di tempo ne è passato sin troppo». Sempre «al governo», aggiunge Orlando, spetta dire se la migliore soluzione nell’interesse pubblico si realizza «con la revoca o con un radicale assetto societario». Anche in casa Cinque Stelle, dove già non erano state apprezzate le aperture a Silvio Berlusconi e il rilancio delle alleanze per le regionali, si punta il dito contro il premier. «Cerca di scaricare sugli altri la responsabilità dell’immobilismo, basta cercare capri espiatori», è la tesi.
La disponibilità di Atlantia a ridurre la quota in Aspi sotto il 50% (oggi è all’88%) viene salutata con favore da tutte le forze della maggioranza, ma sul futuro assetto di Aspi le divergenze non mancano. Incalza la viceministra pentastellata dell’Economia Laura Castelli: «I numeri dicono che Aspi ha margini decisamente più ampi. Che abbiano il coraggio di presentare una proposta all’altezza della situazione, fermo restando che i Benetton devono uscire dalla gestione delle autostrade». È il ritornello di tutti i Cinque Stelle di governo. Con Buffagni che arriva a evocare la crisi: «Devono uscire. Se qualcuno ha altre idee noi siamo disponibili anche a lasciar perdere tutto e andare via». I Cinque Stelle chiedono un azzeramento o un ridimensionamento fortissimo della presenza di Atlantia in Aspi e prediligono lo strumento della «vendita condizionata» a quello dell’aumento di capitale sottoscritto da Cdp, F2i e altri fondi, che invece non dispiace a Pd e Italia Viva. Frenano soprattutto sull’immediato schieramento di Cdp. Ma è Gualtieri al Mef che “cuce” l’operazione, non senza scontri con i pentastellati.
Scontri che si aggiungono agli altri. Perché le nubi che ieri si sono addensate su De Micheli, il fuoco incrociato contro il premier, le critiche per la proroga dello stato di emergenza, lo sbando nel M5S e la mina Mes rendono la situazione incandescente. Lo staff del ministro degli Esteri Luigi Di Maio (il cui incontro con Mario Draghi, avvenuto il 24 giugno ma reso noto ieri, ha alimentato altri sospetti) ha smentito le voci di un presunto accordo segreto tra l’ex capo politico M5S e il leader di Iv, Matteo Renzi, per sostituire la ministra: «Falsità». Ma resta il dato di fatto che quello delle Infrastrutture sia un ministero molto appetibile in caso di rimpasto (ipotesi che continua a rimbalzare nei corridoi dei palazzi come possibile soluzione all’impasse del governo), soprattutto perché gestirà il piano opere e i finanziamenti attesi dall’Ue. Il premier, atterrato ieri sera in Olanda, nega cambi e ostenta distacco. Ma sa che riuscire a mettere la parola fine almeno alla vicenda Autostrade, a due anni dalla tragedia di Genova e col nuovo ponte già pronto, rafforzerebbe innanzitutto lui.