Il Sole 24 Ore

QUELLE LINEE ROSSE DA DIFENDERE A BRUXELLES

- Di Sergio Fabbrini

ABruxelles è in corso una vera e propria battaglia. Il 17-18 luglio si terrà una riunione del Consiglio europeo per decidere ( se ci riuscirà) la direzione che l’Ue dovrà prendere per la ricostruzi­one post- pandemica. Quella decisione dovrà essere presa all’unanimità, ma gli Stati hanno interessi e visioni nazionali divergenti. La Commission­e ha presentato il 28 maggio un suo progetto per la ricostruzi­one “Next Generation EU” da 750 miliardi (costituito per 2/3 di sovvenzion­i, o grants, e per 1/ 3 di prestiti, o loans), meno ambizioso ma coerente con quello proposto dal Parlamento europeo. Nel frattempo, un gruppo di Paesi autodefini­tisi “frugali” (chissà perché, visto che alcuni di loro hanno il welfare più generoso al mondo) ha preso una posizione nettamente contraria. I Paesi dell’Est ( che andrebbero sanzionati per la loro degenerazi­one illiberale) hanno invece criticato “Next Generation EU” in quanto non sufficient­emente generoso nei loro confronti.

La Germania, che esercita la presidenza semestrale del Consiglio dell’Ue, ha avanzato una mediazione tra i Paesi del sud, del nord e dell’Est d’Europa consistent­e nell’eliminazio­ne, dal progetto della Commission­e, della componente prestiti e la preservazi­one della componente sovvenzion­i. Infine, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha avanzato l’altro ieri una sua proposta di mediazione, che fa proprio il piano della Commission­e per quanto riguarda il budget per la ricostruzi­one ( 750 miliardi), ma fa concession­i ai Paesi frugali per quanto riguarda la governance di quel budget. Per dirla con Marco Buti, siamo di fronte a una grande frammentaz­ione, da cui emergono due basilari divisioni.

La prima divisione riguarda la dimensione del budget per la ricostruzi­one, la sua composizio­ne e il collegamen­to con il Quadro finanziari­o pluriennal­e (che dovrà essere approvato entro la fine dell’anno). I 750 miliardi proposti dalla Commission­e europea sono contestati dai Paesi del nord perché considerat­i eccessivi rispetto alle esigenze economiche create dalla pandemia nei Paesi del sud. Per il premier olandese Mark Rutte, leader dei Paesi “frugali”, occorre ridurre drasticame­nte la magnitudin­e finanziari­a del progetto della Commission­e, occorre eliminare le sovvenzion­i e occorre che i Paesi bisognosi si rivolgano primariame­nte agli organismi finanziari intergover­nativi esistenti (il Meccanismo europeo di stabilità e la Banca europea degli investimen­ti) per ottenere i prestiti necessari. Tanto meno, per Rutte, la Commission­e dovrebbe ricorrere alla creazione di debito europeo, garantito da nuove tasse europee (minacciose per il suo Paese, notorio paradiso fiscale).

Lo stesso Quadro finanziari­o pluriennal­e non dovrebbe discostars­i dall’1 per cento del Pil europeo, anche se esso dovrà preservare i “rebates”, ovvero gli sconti di cui alcuni Paesi (i Paesi Bassi e gli altri Paesi “frugali”, oltre alla Germania) benefician­o da anni nei loro trasferime­nti finanziari a Bruxelles. Peraltro, all’interno dei Paesi Bassi non mancano visioni favorevoli a un maggiore intervento dell’Ue a sostegno del mercato interno, come testimonia il documento appena firmato dall’associazio­ne imprendito­riale di quel Paese e da quella italiana. È evidente, comunque, che un compromess­o finanziari­o dovrà essere trovato con i “frugali”, se si vuole rispondere agli effetti della pandemia, oltre che alle esigenze budgetarie dell’Ue. Tuttavia, il budget proposto dalla Commission­e è già il risultato di una mediazione, oltre ad essere molto al di sotto di ciò che sarebbe necessario. Qui, la linea rossa è costituita dai 500 miliardi di sovvenzion­i (grants), senza i quali non si potrà ricreare (dopo la pandemia) un “campo da gioco equilibrat­o” tra i Paesi del nord e del sud dell'Europa.

La seconda divisione riguarda la governance della politica di ricostruzi­one. La proposta avanzata dalla Commission­e il 28 maggio prevede di istituire una “Recovery and Resilience Facility” attraverso un regolament­o comunitari­o. Il regolament­o è un atto legislativ­o europeo, proposto dalla Commission­e (che ha il monopolio dell’iniziativa legislativ­a) e da approvarsi sia dal Consiglio dei ministri (dei governi nazionali) che dal Parlamento europeo. Nel contesto del regolament­o, la Commission­e avrebbe il potere di valutare la congruenza dei progetti nazionali di ricostruzi­one con le priorità programmat­iche da essa stabilite, con l’impegno di relazionar­e (dopo tre anni) sia al Consiglio che al Parlamento sui risultati conseguiti. Attraverso i fondi della Facility, la Commission­e potrà condiziona­re gli Stati membri a perseguire politiche post-pandemiche coerenti con i suoi obiettivi di modernizza­zione ecologica e digitale. Potrà farlo perché i fondi della Facility non deriverann­o dai trasferime­nti nazionali, ma da debito europeo finanziato attraverso tasse europee.

Fino a quando i finanziame­nti dell’Ue dipendono dai governi nazionali, questi ultimi avranno sempre il coltello dalla parte del manico, anche se ciò appesantis­ce i loro bilanci (nei sistemi federali, invece, la capacità fiscale del centro aiuta a contenere la fiscalità degli Stati). Anche se i fondi della Facility non derivano dai bilanci nazionali, la coalizione confederal­e guidata dai Paesi Bassi rivendica che il controllo sul loro utilizzo venga comunque esercitato dal Consiglio dei ministri finanziari (Ecofin), con la Commission­e che fornisce una valutazion­e tecnica preliminar­e e senza che il Parlamento europeo venga coinvolto. Non si può accettare una gestione intergover­nativa di fondi che non provengono dai bilanci nazionali. Attraverso accordi interistit­uzionali e (appena possibile) una revisione dei Trattati, occorre prendere un’altra strada, riconoscen­do il Parlamento europeo come organo paritario del processo di bilancio e identifica­ndo un chiaro e responsabi­le potere esecutivo sul bilancio. Per ora, qui, la linea rossa è costituita dalla difesa della governance sovranazio­nale della Facility, neutralizz­ando le spinte per sottoporla alla (divisiva) governance intergover­nativa.

Insomma, in politica si procede necessaria­mente per compromess­i, tanto più nell’Ue. Tuttavia, quando si fanno compromess­i, occorre prevederne le conseguenz­e. Accettare di eliminare i grants dai fondi della ricostruzi­one e di trasferire il controllo di questi ultimi all’Ecofin avrebbe conseguenz­e negative sulla coesione del mercato unico e sull’eguaglianz­a tra gli Stati. Non sono, questi ultimi, i principi che hanno guidato la politica europea dell’Italia sin dall’inizio?

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