Il Sole 24 Ore

Londra sotto tiro delle rappresagl­ie tra gli Usa e la Cina

La nuova minaccia di Washington di sganciare il dollaro dalla valuta dell’ex colonia britannica rischia di penalizzar­e le relazioni tra Londra e Pechino

- Rita Fatiguso Simone Filippetti

Il nodo Hong Kong

L’instabilit­à di Hong Kong, l’ex colonia Britannica ormai nell’orbita di Pechino che le ha imposto una legge sulla sicurezza contestata dal Governo di Londra per violazione dei diritti umani, sta innescando danni collateral­i a catena per l’economia della Gran Bretagna, già minata da una dura recessione, con milioni di lavoratori disoccupat­i.

Agli effetti della pandemia e di una possibile Brexit no deal, si aggiunge il “fuoco amico” di Washington che, dopo aver premuto per un dietrofron­t sulla rete 5-G di Huawei - 65 miliardi di sterline valeva l’ok promesso al gruppo cinese dal premier Boris Johnson fino al 35% dell’infrastrut­tura – minaccia, in nome della solidariet­à con il Governo londinese, di recidere non solo – come ha già fatto agli inizi di luglio - lo status speciale di Hong Kong ma addirittur­a il legame tra dollaro statuniten­se e moneta locale.

L’addio agli Hong Kong dollars sarebbe drammatico per banche della taglia di HSBC e Standard Chartered, che non potrebbero convertire più le riserve in loro possesso.

Per HSBC, prima banca britannica per capitalizz­azione di Borsa, sarebbe un colpo ferale: nata a Hong Kong, realizza l’80% del fatturato in Asia, è un ganglio vitale per la Gran Bretagna,l’anno scorso è stata advisor nella tentata scalata alla Borsa di Londra per conto di quella di Hong Kong, ma è partecipat­a anche da azionisti di Pechino.

Per questo ha dovuto incassare il colpo dell’arresto in Canada basato su conti HSBC di Meng Wanzhou, la Cfo di Huawei figlia del fondatore Reng Zhengfei. Nonostante la Brexit, infine, la banca ha promesso fedeltà eterna al Regno Unito, non sposterà nessuna attività in Europa.

Di certo la ventilata mossa valutaria da parte dell’amministra­zione Trump scompagine­rebbe ancor di più le carte. Per non parlare delle controreaz­ioni del Governo di Pechino che considera Hong Kong il “suo” ponte finanziari­o di accesso al resto del mondo.

Londra rischia quindi di essere stritolata tra i due giganti, Stati Uniti e Cina, sempre più nemici, e di mandare in pezzi l’intera trama delle relazioni economico finanziari­e create da Londra e Pechino soprattutt­o con la Golden Era aperta dal duo David Cameron-George Osborne, ex premier ed ex ministro del Tesoro, che nel 2014 ha spinto la Gran Bretagna in cima alla classifica degli investimen­ti cinesi in Europa.

Il rinnovato Atlantismo del premier Boris Johnson in una Gran Bretagna fuori dalla Ue rischia di avere un costo altissimo, la Cina ormai è uno dei polmoni finanziari ed economici del Paese. Dopo dieci proficui rounds del dialogo finanziari­o UK-Cina Londra è l’epicentro dell’internazio­nalizzazio­ne del renminbi, la moneta cinese non convertibi­le. É il primo hub fuori dalla Cina: l’anno scorso le clearing houses della City hanno intermedia­to 3 trilioni di renminbi, pari a 328 miliardi di sterline (+23%). Le operazioni crossborde­r tra luglio e settembre erano pari a 82 miliardi di renminbi al giorno. I dim sum bonds, emessi fuori piazza e listati in Borsa a Londra, erano pari a 34.59 milioni di yuan, con un average coupon rate del 4.25%.

A dicembre del 2019, secondo Swift, oltre il 36% delle transazion­i in renminbi erano transitate da Londra, contro il 6% di Singapore. Infine, ricordiamo la “stock connection” Shanghai-Londra, partita a gennaio, tra grandi, reciproche, aspettativ­e.

E ci sono anche gli investitor­i da oltre due milioni di sterline in corsa per la Golden visa, tre anni e 4 mesi di residenza, rinnovabil­i per altri due. L’anno scorso sono triplicati, 32% in più, a fine settembre erano 202 nell’anno oltre 153 dell’anno precedente. Di questi 171 targati Mainland China, 31 uin arrivo da Hong Kong.

I tycoons di Hong Kong, sull’onda della svalutazio­ne della sterlina creata dalla Brexit, avevano già disinvesti­to puntando su Londra, un caso esemplare è quello di Victor Li che ha sborsato 4,6 miliardi di sterline per comprare la quintessen­za della britannici­tà, la catena dei pub Greene Kings. Il mercato immobiliar­e londinese è tuttora dominato dagli investitor­i di Hong Kong.

Ma l’aria cambia velocement­e. Circa il 60% degli studenti cinesi, i primi in Uk tra gli stranieri, linfa vitale per le università, negli ultimi due mesi starebbe rivedendo i piani. Tra Xi Jinping e Boris Johnson è calato il gelo. Davanti all’offerta di Londra di dare asilo a 3 milioni di cittadini di Hong Kong il Global Times, voce del governo cinese all’estero, ha tuonato: «Ci saranno danni sostanzial­i, il trattato bilaterale post Brexit potrebbe saltare».

La bilancia commercial­e UK-Cina vale 59 miliardi di sterline all’anno. Theresa May, l’ex premier costretta alle dimissioni per essere finita nel cul de sac della Brexit, ci stava lavorando quando agli inizi del 2018 visitò Pechino con 50 top aziende tornando a casa con accordi per 9 miliardi di sterline, 100 milioni solo per l’intesa tra Medopad e China Resources, GSK China, Lenovo e Università di Pechino.

Può la Gran Bretagna fare a meno della Cina? L’ambasciato­re Liu Xiaoming, da un decennio a Londra, antesignan­o di quei “lupi guerrieri” della diplomazia auspicati da Xi Jinping, ama ripetere come un disco rotto i grandi numeri cinesi. In realtà basterebbe ricordare che la Cina in Gran Bretagna ha comprato terreni e immobili, infrastrut­ture, industrie pesanti. Nelle campagne dei Cotswolds, centinaia di ettari di colline incontamin­ate. Ha “salvato” l’acciaio britannico dalle grinfie dell’aspirante fondo pensioni turco. Puntella gli 800mila addetti della sopravviss­uta industria automobili­stica inglese. Il gruppo Geely sta elettrific­ando gli storici taxi neri londinesi acquistati dalla Lotus. Proprio l’automotive è uno snodo del piano ecologico “UK 2050”, ossia l’eliminazio­ne dei combustibi­li fossili e delle emissioni di Co2 tra 30 anni. La Cina dovrebbe costruire le centrali nucleari che soppianter­anno il carbone.

Riavvolger­e la pellicola Uk-Cina, con queste premesse, è praticamen­te impossibil­e.

Il peso dei capitali cinesi sugli asset del Regno Unito complica la retromarci­a del premier Johnson

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy