La Montessori per una didattica partecipativa
Nelle scuole concepite dalla celebre pedagogista prevalgono la cooperazione e la creatività Con risultati migliori, non solo nei test ma nella capacità di progettare il cambiamento
Le scuole Montessori hanno sfornato molti dei grandi innovatori della nostra epoca, come il Nobel per la letteratura Gabriel Garcia Marquez o i fondatori di Google (Sergei Brin e Larry Page), di Amazon (Jeff Bezos), di Wikipedia (Jimmy Wales). Ma questo non sorprende, perché la creatività è il marchio di queste scuole. La Montessori nacque 150 anni fa ed è una donna così importante (la sua immagine era sulla banconota da mille lire) perché si inventò una scuola alternativa. Lo fece nel periodo in cui fu pensata e costruita la scuola di massa - che prima non esisteva. Venne basata sul modello della doma: domare i bambini come si domano gli animali. Passività, obbedienza, segregazione fisica e spaziale, premi e punizioni (anche corporali). La scuola di massa venne progettata in base all’enorme necessità di controllo sociale di una società che si andava industrializzando. L’obiettivo era formare operai e soldati. Per questo l’istruzione puntò a sviluppare la capacità di obbedire e annoiarsi, molto apprezzate dal mercato del lavoro e dall’esercito.
La Montessori progettò la scuola in base a tutt’altro: partecipazione degli studenti alle decisioni, autonomia, creatività, associazione di apprendimento e motivazioni intrinseche come interesse, curiosità, piacere, scoperta. La scuola fu modellata come apprendimento cognitivo e sociale individuale e di gruppo, lavoro in gran parte scelto dagli studenti, materiale didattico adatto a questi scopi, assenza di voti e test, cooperazione tra gli studenti basata su aule sono multi-età, in cui i bambini più grandi aiutano i più piccoli.
L’eredità di queste scelte è immensa. Ci sono più di 60mila scuole Montessori nel mondo, perché è una scuola che funziona. I bambini Montessori a confronto con quelli delle scuole tradizionali vanno meglio nei test di matematica e lettura (pur senza averne mai fatti), sono meno conflittuali quando giocano e tengono più conto della equità e della giustizia nei conflitti. Inoltre scrivono in modo più complesso e creativo, sono più cooperativi e connessi con la loro comunità scolastica.
Le ricerche sulla scuola in decine di paesi mostrano due cose. La prima è che gli studenti hanno risultati migliori quando stanno meglio a scuola, hanno migliori relazioni con gli insegnanti, più motivazioni intrinseche, minore ansia e si sentono più coinvolti nella comunità scolastica. La seconda è che i metodi didattici impattano fortemente questi aspetti. Infatti l’approccio montessoriano ha influenzato da decenni le scuole di molti paesi dando vita ad esperienze di didattica partecipativa, dalla scuola primaria all’università. La pratica partecipativa è basata sul lavoro di gruppo su progetti comuni. Sono gli studenti che fanno domande agli insegnanti e la relazione centrale nell’aula è quella tra gli studenti. Quando invece vengono usati i tradizionali metodi verticali gli insegnanti tengono lezioni frontali e fanno domande agli studenti, mentre l’attività principale degli studenti è prendere appunti e leggere i libri di testo. La relazione centrale nell’aula è quella tra insegnante e studenti. La didattica partecipativa funziona meglio di quella verticale. I dati di centinaia di migliaia di studenti delle elementari, medie e superiori di decine di paesi mostrano che i metodi partecipativi sviluppano più di quelli verticali la capacità di cooperare, l’autostima, la disponibilità al volontariato e a partecipare alla vita civile. Insomma metodi di insegnamento più cooperativi producono gente più cooperativa.
La conclusione è che i principi montessoriani sono la chiave per l’apprendimento di qualità. Infatti i metodi partecipativi sono stati progressivamente adottati dalle scuole dei paesi nord-europei. Questi paesi si piazzano regolarmente ai primi posti delle classifiche internazionali del rendimento studentesco. Visti i risultati, non sorprende che l’esperienza montessoriana abbia tanta influenza. Sorprende invece che molti sistemi scolastici, soprattutto in Europa meridionale e orientale, abbiano un profilo tanto tradizionale. La scuola dovrebbe insegnare a coniugare piacevolezza e produzione, un atteggiamento attivo nei confronti della propria formazione e del potere, essere padroni del proprio corpo e tempo, profondi e creativi, includere e cooperare. Invece spesso insegna ad annoiarsi, a subire passivamente il potere, a essere in conflitto con il proprio corpo e tempo, a essere superficiali e acritici, a escludere e competere. Per questo tende a produrre individui sempre più scadenti, passivi, disinteressati, acritici, poco collaborativi, rassegnati o ribelli.
Abbiamo bisogno di una scuola che promuova il cambiamento al posto della conservazione e ne abbiamo bisogno anche per l’economia. Una proliferazione di etichette - economia della conoscenza, dell’apprendimento, postindustriale - descrive la nuova economia in cui viviamo, in cui la creatività è diventata un fattore cruciale di successo. Un sistema scolastico che insiste sulla passività, la superficialità e l’obbedienza è inadeguato per tale economia. Negli ultimi decenni, i leader politici di tutto l’Occidente si sono specializzati nella doppia retorica della società dell’apprendimento e della società della performance. Ma queste due narrazioni sono in conflitto. Una forza lavoro flessibile, resiliente, che si aggiorna permanentemente e la cui motivazione sia la base dello sviluppo economico e sociale richiede una scuola che permetta a insegnanti e alunni di lavorare insieme in modo creativo.
Hanno frequentato queste scuole molti innovatori delle nostra epoca, da Garcia Marquez a Jeff Bezos