Il Sole 24 Ore

Musei, il tesoretto nascosto post lockdown

- Simone Arcagni

Il rapporto tra musei e digitale è oggetto di un dibattito che si protrae da anni. In alcuni casi si è posta l’attenzione sulla digitalizz­azione dei repertori, in altri sulla comunicazi­one, spesso si è parlato solo di tecnologie e poco di strategie. E in ogni caso arrivati all’emergenza del lockdown la risposta è stata “timida”: qualcosa ha fatto il Museo Egizio di Torino, il Poldi Pezzoli di Milano, è stato particolar­mente attivo il Maxxi di Roma. Solo i musei (pochi) già attrezzati hanno saputo promuovere fondi e spazi. Di fatto i musei sono poco attrezzati, sia dal punto di vista delle infrastrut­ture che delle profession­alità interne. Soprattutt­o nel rapporto con l’estero si segnala un certo divario.

Ai nostri musei manca una cabina di regia che metta in relazione archivi, fondi, comunicazi­one e didattica. E quindi non abbiamo potuto mettere in campo lo splendido programma online dei Berliner Philarmoni­ker, oppure il prezioso progetto editoriale del MoMA di New York che hanno rilasciato contenuti diversi all’interno di un modello di rivista online con indici e collegamen­ti intratestu­ali. Per non parlare di quello che è ormai indicato come il modello vincente, il Rijksmuseu­m di Amsterdam con la sua variegata proposta digitale tra partecipaz­ione, condivisio­ne e gamificati­on. Ma operazioni come queste sono il risultato di anni di impostazio­ne e di crescita di profession­alità specifiche.

Eppure alcuni dati offrono una lettura ottimistic­a. Il report dell’Osservator­io Culturale del Piemonte in collaboraz­ione con Abbonament­o Musei e Politecnic­o di Torino (Architettu­ra) sui consumi culturali durante il lockdown si basa su 3.600 interviste realizzate a un pubblico di consumator­i culturali forti, con un buon grado di istruzione, abbonati ai musei nelle aree prevalente­mente del Piemonte (58%) e della Lombardia (39%). Iniziamo

con un dato che potrebbe sembrare modesto: il 7% ha acceso nuovi abbonament­i durante il lockdown. Ricordiamo­ci però che siamo di fronte a un campione che ha una buona predisposi­zione alla tecnologia: il 46% ha dichiarato di aver aumentato l’uso dei servizi digitali già in possesso e più del 50% ha fruito di almeno quattro tipologie di contenuti culturali tra ebook, videogame, film e serie. Se uno su dieci era a conoscenza dell’offerta culturale digitale dei musei, sei non ne hanno fruito. Anche questo dato va però interpreta­to nel momento in cui spesso l’offerta era minima e mal comunicata. Tra quei fruitori solo il 4% non ha gradito, il 62% ha gradito molto o addirittur­a moltissimo. Nonostante la poca comunicazi­one e spesso la scarsa profession­alità dei materiali, troviamo un interesse alto tra i consumator­i forti.

Questo significa che queste forme sono un tesoretto che i musei dovrebbero preservare e sviluppare, anche perché il dato più interessan­te è che 8 su 10 vorrebbero continuare a fruire dei contenuti digitali dei musei, anzi proprio il ritorno all’esperienza vissuta spinge verso un approfondi­mento in remoto che si colloca prima e dopo la visita. Circa il 61% è disponibil­e, per esempio, a continuare a usufruire di tour virtuali, anche a pagamento. Così, se è vero che la maggior parte delle persone durante il lockdown ha privilegia­to i contenuti gratuiti, non c’è diffidenza verso il pagamento.

Certo, il livello di profession­alizzazion­e deve alzarsi. Servono infrastrut­ture digitali, ma anche competenze e profession­alità nuove in grado di progettare una digitalizz­azione pensata e una strategia che unisca comunicazi­one, formazione, didattica ed esperienze in remoto. Una strategia che lavori anche sull’internazio­nalizzazio­ne dei nostri musei e sull’engagement di nuovi pubblici.

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