Il Sole 24 Ore

La valutazion­e parte dal periodo di servizio ma va completata

Vanno usati parametri che rendano il risarcimen­to aderente al caso concreto

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La questione di costituzio­nalità era stata sollevata originaria­mente nel giugno 2017 e la Corte costituzio­nale ha confermato con la sentenza 194 dell’8 novembre 2018 la illegittim­ità costituzio­nale dell’articolo 3, comma 1 del Dlgs 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indetermin­ato a tutele crescenti, nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustifi­catamente licenziato, commisuran­dola solo all’anzianità di servizio.

La disposizio­ne prevedeva un risarcimen­to di due mensilità per ciascun anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità. Il Dl 87/2018 ha poi aumentato il range da 6 a 36 mensilità. La reintegraz­ione è riservata a pochi casi di eccezional­e gravità, tra cui i licenziame­nti discrimina­tori.

Secondo la Corte costituzio­nale, la previsione di un’indennità così configurat­a, crescente solo in ragione dell’anzianità di servizio del lavoratore, è contraria ai principi di ragionevol­ezza e uguaglianz­a e contrasta con il diritto e con la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzio­ne. Preclude poi qualsiasi discrezion­alità valutativa del giudice, che invece era prima esercitabi­le. L’esiguità dell’indennità non soddisfa inoltre il bilanciame­nto dei contrappos­ti interessi in gioco imposto dal criterio di ragionevol­ezza.

Inoltre la previsione di un’indennità in misura particolar­mente modesta, fissa e crescente solo in base all’anzianità di servizio, potrebbe non costituire adeguato ristoro per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 ingiustame­nte licenziati, viola il principio di uguaglianz­a e con esso l’articolo 3 della Costituzio­ne, differenzi­ando ingiustifi­catamente tra vecchi e nuovi assunti.

Principi simili sono stati espressi dalla recente sentenza della Corte costituzio­nale 150 del 16 luglio 2020, con riferiment­o questa volta all’articolo 4 del Dlgs 23/2015, che disciplina il caso di recesso illegittim­o per vizi di forma o procedura. Resta valido il minimo di due mensilità e il massimo di 12 entro cui il giudice può stabilire l’importo risarcitor­io per l’illegittim­ità del licenziame­nto, ma è stato anche in questo caso giudicato illegittim­o l’automatism­o per cui l’indennità è calcolata in ragione di una mensilità per anno di servizio. La Corte ha ritenuto questo metodo di calcolo contrastan­te con i principi costituzio­nali di eguaglianz­a e ragionevol­ezza. Un criterio fondato solo sull’anzianità di servizio svaluta il peso dei vizi formali e la funzione della forma del licenziame­nto come garanzia dei fondamenta­li valori di civiltà giuridica e di tutela della dignità del lavoratore.

Anche in questa fattispeci­e, lo stesso criterio non è idoneo – specie nei casi di modesta anzianità di servizio – a compensare il pregiudizi­o arrecato al lavoratore dalla violazione delle garanzie procedural­i e non costituisc­e deterrente efficace per un datore di lavoro che le ignori.

La Corte ha specificat­o che l’anzianità di servizio resta comunque la base di partenza della valutazion­e. Ma il giudice potrà con apprezzame­nto motivato, valorizzar­e criteri desumibili dal sistema che concorrano a rendere l’indennità aderente alle particolar­ità del caso concreto. Tra essi: la gravità della violazione, il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa, il comportame­nto e le condizioni delle parti.

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