Banche Ue, il Covid costa 60 miliardi
Studio della Goldman sugli accantonamenti degli istituti nel semestre Le rettifiche prudenziali tre volte superiori a quelle dei primi sei mesi del 2019
Edizione chiusa in redazione alle 22 Secondo i calcoli di Goldman Sachs, sono 60 i miliardi di euro che le banche del Vecchio Continente hanno accantonato, nei primi sei mesi dell’anno, per fare fronte all’emergenza innescata dal Covid-19 e all’aumento delle sofferenze sui prestiti che occorrerà mettere in conto nei mesi a venire. Si tratta di una cifra destinata a crescere ancora, già 3 volte superiore a quanto messo da parte nello stesso periodo dello scorso anno.
Il rapporto tra il fondo rischi su crediti e gli attivi ponderati è in sostanza triplicato in 12 mesi in Europa
È un calcolo ancora provvisorio, ma già offre un’idea di come questo 2020 così complesso si sia abbattuto come una furia sui bilanci del settore finanziario. Sono infatti ormai 60 i miliardi di euro che le banche del Vecchio Continente hanno in base ai calcoli di Goldman Sachs accantonato nel primo semestre per far fronte allo scenario macroeconomico profondamente mutato dall’impatto di Covid-19 e all’aumento delle sofferenze sui prestiti che occorrerà mettere in conto nei mesi a venire. Si tratta già di una cifra 3 volte superiore a quanto messo da parte nello stesso periodo dello scorso anno, che però è destinata inevitabilmente a crescere.
Sono 31,2 i miliardi messi da parte nel secondo trimestre 2020 da 50 dei 55 principali istituti di credito europei che la banca di investimento analizza (pari al 98% della capitalizzazione complessiva), che vanno ad aggiungersi agli oltre 28 miliardi già contabilizzati nei primi tre mesi dell’anno. Poste di bilancio straordinarie che hanno contribuito ad appesantire bilanci già falcidiati dalla recessione post-virus che, secondo Goldman Sachs, ha ridotto a livello europeo i profitti operativi medi del settore del 3,7% e più che dimezzato al 5% il rendimento del patrimonio netto tangibile.
Il fenomeno degli accantonamenti si è diffuso a macchia di leopardo attraverso il Continente e Spagna e Gran Bretagna sono i Paesi relativamente più colpiti, anche per l’esposizione globale di alcune loro banche. Se infatti Banco Santander ha fatto parlare di sé per i 3,1 miliardi accantonati nel trimestre (e oltre 7 miliardi da inizio anno), non sono passate inosservate neppure Bbva (1,6 miliardi e oltre 4 finora nel 2020) e le britanniche Lloyds (2,4 miliardi di sterline) e Natwest (2 miliardi di sterline), oltre ad Hsbc (3,8 miliardi di dollari).
L’Italia si è mantenuta in una posizione intermedia, con impairment complessivi attorno ai due miliardi nel semestre per le due «big» Intesa Sanpaolo e UniCredit. E a confermarlo è anche il dato sul costo del rischio, che vedeva al 30 giugno scorso il nostro Paese su un livello medio di 95 punti base, superiore sì ai 60 punti di 12 mesi prima, ma pur sempre al di sotto di quanto registrato in media in Europa e decisamente distante dai picchi di Gran Bretagna (171), Spagna e Austria (entrambe 142) e Grecia (131).
Il fatto che il rapporto tra il fondo rischi su crediti e gli attivi ponderati, cioè il principale indicatore della rischiosità di una banca, sia in sostanza triplicato a livello continentale rispetto a 12 mesi fa offre un quadro della situazione attuale, ma dà anche un’idea del possibile impatto che ci si deve attendere per l’intero anno. «Con lo scenario che si prospetta di un calo del Pil del 12,5%, un costo del rischio compreso fra 100 e 150 punti base era da mettere in conto», ammette Marco Troiano, direttore Financial Institution di Scope Ratings. Se confermati, livelli simili sarebbero del resto coerenti con svalutazioni complessive nell’ordine dei 100 miliardi per il settore finanziario europeo nel 2020.
Sul secondo semestre la «visibilità» è tuttavia ancora limitata e c’è poca voglia di esporsi in previsioni, anche perché ci sarà da fare i conti con la dura realtà e non con gli accantonamenti a scopo precauzionale. «Prevediamo che alla fine di quest’anno, o all’inizio del 2021 i bilanci inizieranno a riflettere le perdite subite, piuttosto che quelle previste», avverte Goldman Sachs, che alla riprova dei fatti si attende una minore dispersione dei valori sul costo del credito delle singole banche proprio per effetto del livellamento fra chi finora è stato più e chi meno prudente sui conti.
Sul cambio del mix delle svalutazioni, da quelle generiche effettuate per tener conto del deterioramento dello scenario macro fino al 30 giugno a quelle che prenderanno effettivamente in considerazione le conseguenze scatenate da Covid-19, insiste anche Troiano. «A partire dalla seconda parte dell’anno mi aspetto accantonamenti specifici in corrispondenza della scadenza delle moratorie sui finanziamenti, che sono state rilevanti non soltanto in Italia, ma anche in altri Paesi europei, soprattutto in Gran Bretagna», spiega l’analista, che tuttavia sottolinea come il quadro non sia poi così disastroso, visto che «quasi tutte le banche prevedono un costo del credito stabile, se non in discesa rispetto ai livelli attuali, nel corso dell’anno». L’incognita maggiore resta dopotutto, e come per tutti gli altri settori, lo sviluppo dell’epidemia: una ripresa dei contagi e nuovi eventuali blocchi delle attività non lascerebbero certamente indenni il settore finanziario stavolta.