Il Sole 24 Ore

PER IL CREDITO LA SOLUZIONE C’È

- Di Marco Ferrando

La gravità della crisi economica innescata dalla pandemia è tale da ispirare naturalmen­te un paragone con quella successiva al crack Lehman, che ebbe nelle banche dai crediti facili e rischiosi il suo epicentro.

L’ondata di accantonam­enti sulle sofferenze future che le banche di tutto il mondo - di cui 60 solo in Europa, come si legge nella pagina qui a fianco - stanno predispone­ndo in questi mesi suona come un ulteriore invito a ragionare in quella direzione. Che tuttavia è sbagliata: 12 anni fa il mondo del credito fu una delle principali cause del tracollo, oggi invece è una delle tante vittime di una crisi che è anzitutto sanitaria, con effetti sui consumi, gli investimen­ti e in generale la fiducia.

Distinguer­e le cause non è irrilevant­e nel momento in cui, a tutti i livelli, si sta tentando di costruire interventi straordina­ri. Ed è evidente ai più che a livello nazionale e sovranazio­nale sia necessario dotarsi di un set di regole che tenga conto di questa eccezional­ità. L’Europa, pur con i suoi tempi, ha fatto molto, dalla sospension­e dell’assoluto rigore di bilancio imposto agli Stati membri fino al Recovery fund che può contribuir­e in misura determinan­te a creare valore a spese di tutti là dove ce n’è maggior bisogno. Anche sul credito, dove a governare è anzitutto la Bce, si è mosso qualche primo passo significat­ivo, che ha allentato alcune disposizio­ni di vigilanza con l’obiettivo di favorire anzitutto l’attività creditizia decisiva in questa fase di shock. Si tratta, tuttavia, di interventi temporanei della Vigilanza o del legislator­e europeo, che vanno dal congelamen­to di vincoli al rinvio di obiettivi. Non è ancora in atto, invece, il tentativo di intervenir­e struttural­mente su un corpus normativo che, ispirato dalla crisi Lehman e dalle sue ripercussi­oni, è pensato per prevenire singole crisi di singoli istituti e non per fronteggia­re eventi sistemici. Ne è un classico esempio la disciplina sul bail in, che in caso di fallimento di una banca antepone gli interessi dei contribuen­ti a quelli di azionisti, obbligazio­nisti e correntist­i. Ha ancora senso, proprio oggi che gli Stati stanno intervenen­do in ogni dove? Forse se ne può discutere, e risulta che qualcuno già lo stia facendo ad esempio in tema di Npl e bad bank.

Politicame­nte, il varo del Recovery fund dimostra che a livello europeo, con tutti i mugugni e distinguo del caso, c’è la consapevol­ezza di una straordina­rietà tale da mettere in discussion­e alcuni cardini del processo di integrazio­ne europea proprio nell’intento di non soffocarlo. Il mondo del credito merita di essere guardato con gli stessi occhi. Non per fargli sconti, ma per coglierne tutto il supporto possibile a favore della crescita e per evitare che - strozzato da norme superate - sia al centro di una nuova crisi destinata poi a ripercuote­rsi sull’economia reale vanficando molti degli altri sforzi messi in campo. Prima che sia troppo tardi, le banche posso diventare parte della soluzione di questa nuova crisi, e non la causa della prossima.

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