PER IL CREDITO LA SOLUZIONE C’È
La gravità della crisi economica innescata dalla pandemia è tale da ispirare naturalmente un paragone con quella successiva al crack Lehman, che ebbe nelle banche dai crediti facili e rischiosi il suo epicentro.
L’ondata di accantonamenti sulle sofferenze future che le banche di tutto il mondo - di cui 60 solo in Europa, come si legge nella pagina qui a fianco - stanno predisponendo in questi mesi suona come un ulteriore invito a ragionare in quella direzione. Che tuttavia è sbagliata: 12 anni fa il mondo del credito fu una delle principali cause del tracollo, oggi invece è una delle tante vittime di una crisi che è anzitutto sanitaria, con effetti sui consumi, gli investimenti e in generale la fiducia.
Distinguere le cause non è irrilevante nel momento in cui, a tutti i livelli, si sta tentando di costruire interventi straordinari. Ed è evidente ai più che a livello nazionale e sovranazionale sia necessario dotarsi di un set di regole che tenga conto di questa eccezionalità. L’Europa, pur con i suoi tempi, ha fatto molto, dalla sospensione dell’assoluto rigore di bilancio imposto agli Stati membri fino al Recovery fund che può contribuire in misura determinante a creare valore a spese di tutti là dove ce n’è maggior bisogno. Anche sul credito, dove a governare è anzitutto la Bce, si è mosso qualche primo passo significativo, che ha allentato alcune disposizioni di vigilanza con l’obiettivo di favorire anzitutto l’attività creditizia decisiva in questa fase di shock. Si tratta, tuttavia, di interventi temporanei della Vigilanza o del legislatore europeo, che vanno dal congelamento di vincoli al rinvio di obiettivi. Non è ancora in atto, invece, il tentativo di intervenire strutturalmente su un corpus normativo che, ispirato dalla crisi Lehman e dalle sue ripercussioni, è pensato per prevenire singole crisi di singoli istituti e non per fronteggiare eventi sistemici. Ne è un classico esempio la disciplina sul bail in, che in caso di fallimento di una banca antepone gli interessi dei contribuenti a quelli di azionisti, obbligazionisti e correntisti. Ha ancora senso, proprio oggi che gli Stati stanno intervenendo in ogni dove? Forse se ne può discutere, e risulta che qualcuno già lo stia facendo ad esempio in tema di Npl e bad bank.
Politicamente, il varo del Recovery fund dimostra che a livello europeo, con tutti i mugugni e distinguo del caso, c’è la consapevolezza di una straordinarietà tale da mettere in discussione alcuni cardini del processo di integrazione europea proprio nell’intento di non soffocarlo. Il mondo del credito merita di essere guardato con gli stessi occhi. Non per fargli sconti, ma per coglierne tutto il supporto possibile a favore della crescita e per evitare che - strozzato da norme superate - sia al centro di una nuova crisi destinata poi a ripercuotersi sull’economia reale vanficando molti degli altri sforzi messi in campo. Prima che sia troppo tardi, le banche posso diventare parte della soluzione di questa nuova crisi, e non la causa della prossima.