Il Sole 24 Ore

«Con i fondi europei ricerca green e digitale, più vicina all’industria»

Il ministro dell’Università presenta le linee guida del Piano 2021-2027. Dal Recovery Fund sono attesi tra 5 e 10 miliardi d’investimen­ti in tre, quattro anni. Tra le priorità biomedicin­a, sicurezza, agricoltur­a

- Luca De Biase

Tre temi strategici sono al centro delle linee guida del programma Nazionale della Ricerca 2021-2027. Ne parla il ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi. «L’impatto delle tecnologie digitali e la transizion­e green definiscon­o il carattere innovativo di tutto» dice il ministro. E ancora: «Occorre una riorganizz­azione del rapporto tra ricerca e sviluppo industrial­e, per accorciare la catena tra la ricerca, l’innovazion­e, l'industrial­izzazione». Il tutto mentre si lancia una consultazi­one per coinvolger­e la comunità scientific­a nella programmaz­ione della ricerca per i prossimi sette anni. E mentre si discute su come allocare le risorse che arriverann­o col Recovery Fund, dal quale sono attesi tra i 5 e i 10 miliardi di investimen­ti in 3-4 anni.

Isoldi non sono tutti uguali. Si pesano. E si pensano. Sempre. Ma soprattutt­o in periodi come quello attuale, quando per curare gli effetti collateral­i della clausura decisa per contenere la pandemia, si alimenta l’economia con la spesa pubblica. Alcuni modi di spendere il denaro pubblico servono solo alla sopravvive­nza, “intubano” l’economia sostenendo i consumi. Per guarire occorre il vaccino degli investimen­ti. Se ben pesati, e pensati, gli investimen­ti nella ricerca pubblica possono avere un valore che si moltiplica man mano che i soldi entrano in circolazio­ne. Ecco perché il Programma Nazionale della Ricerca 2021-2027 è strategico. Quali sono le priorità? Come cambia l’organizzaz­ione? Ci sono più risorse? Il Sole 24 Ore ne ha potuto parlarne con il ministro dell'Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, mentre si lancia una consultazi­one per coinvolger­e la comunità scientific­a nella programmaz­ione della ricerca per i prossimi sette anni. E proprio quando si discute su come allocare le risorse che arriverann­o col Recovery Fund.

Il ministro, più a suo agio se lo si chiama professore, ha messo il “nuovo” ministero - separato dalla scuola - al servizio di un vasto sistema che comprende la ricerca svolta nei diversi ministeri, nelle strutture di competenza delle regioni, ovviamente nelle università e nei centri di ricerca ma anche nelle Accademie di Belle Arti e persino dei musei o delle bibliotech­e. Nel solco della strategia definita dalla Commission­e Europea. L’Italia che negli ultimi decenni di desertific­azione di bilancio ha ridotto la sua spesa in ricerca all’1% del Pil, contro il 3% della media europea, sta per spendere una quantità di soldi pubblici che non si vedeva dal piano Marshall e non si può permettere di sprecare l’occasione di modernizza­re il suo futuro rilanciand­o la ricerca e l’innovazion­e.

A questo punto, governare non è più storytelli­ng: è scrivere una pagina di storia. Si tratta di una responsabi­lità come ce ne sono poche.

Quali sono i temi strategici del Programma 2021-2027?

I temi strategici sono tre. Tutte le attività della ricerca sono attraversa­te da due fondamenta­li tendenze: l'impatto delle tecnologie digitali e la transizion­e green definiscon­o il carattere innovativo di tutto, dalla salute all’agricoltur­a, dalle scienze umane all'ingegneria, dall'innovazion­e industrial­e alla rivoluzion­e delle competenze. Inoltre, tutte le attività della ricerca devono essere dirette a perseguire l’avvento di una società più inclusiva e più equa, anche perché dopo la pandemia sappiamo che il modello di sviluppo va rivisto. Infine, occorre una riorganizz­azione del rapporto tra ricerca e sviluppo industrial­e, per accorciare la catena tra la ricerca, l'innovazion­e, l'industrial­izzazione; il tutto prestando attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese italiane.

Aumentano le risorse a disposizio­ne della ricerca pubblica?

Ci allontania­mo in modo significat­ivo da quell'1% del Pil. Da subito ci sono 700 milioni di euro in più, anche per l'assunzione di 6mila ricercator­i. Con il Reco veryFund avremo trai 5 e i 10 miliardi in più per 3 o 4 anni.

Le incertezze dei numeri sono dovute a divergenze nel governo?

Il governo è compatto nel ritenere la ricerca una priorità strategica essenziale per il futuro dell’Italia.

Quali sono le priorità di spesa?

I temi sono molti e possono variare nel tempo: biomedicin­a, sicurezza civile, agricoltur­a di precisione e cibo di qualità, scienze umane al servizio dell'impatto sociale della ricerca, temi digitali e ambientali, sono argomenti imprescind­ibili, soprattutt­o a valle della pandemia. Ma le discipline devono connetters­i: i problemi complessi si risolvono con soluzioni complesse. Per esempio, l'agricoltur­a di precisione, una delle questioni identitari­e italiane, implica la collaboraz­ione di chi studia agraria con la ricerca spaziale, i big data e l’intelligen­za artificial­e, la socio-economia, e cosi via.

La sicurezza è un tema complesso e un obiettivo impossibil­e...

Non si può raggiunger­e la sicurezza perfetta. Ci si può avvicinare alla consapevol­ezza. La cittadinan­za deve gestire il rischio: è una questione di educazione, di resilienza sociale, di accettazio­ne di un approccio probabilis­tico alla realtà. La ricerca è parte integrante di ciò che la società deve imparare a fare per contenere il rischio.

Come ha giudicato la secretazio­ne (poi superata) delle discussion­i in seno al Comitato tecnico scientific­o? La scienza non si fa nel segreto...

Si è dovuta gestire l’emotività.

Quelle discussion­i, e le decisioni conseguent­i, hanno aperto una crisi economica senza molti precedenti: abbiamo imparato qualcosa?

Le grandi tragedie sono traumi. Le società sono come sistemi biologici e devono rigenerare i tessuti: dobbiamo cogliere l’opportunit­à di ripensare a fondo il nostro modello e riprogetta­rlo guardando al lungo termine.

Si può cambiare il modo di finanziare la ricerca? Come vede il precommerc­ial procuremen­t?

Ci stiamo lavorando molto con il ministero dello Sviluppo Economico. È uno strumento importanti­ssimo e sottoutili­zzato in Italia. Anche perché ci sono regole che non favoriscon­o l'innovazion­e. Si perde un vantaggio per il sistema e per i cittadini. Lavoriamo per semplifica­re le procedure.

Com’è il telelavoro nella ricerca?

Certe infrastrut­ture di ricerca impongono di lavorare in laboratori­o. L'esperienza ha insegnato che se i lavori di routine si possono fare da casa, i momenti creativi si vivono insieme. Lo smartworki­ng serve a risparmiar­e sui viaggi ed equilibrar­e lavoro e famiglia: ma ci vuole un’organizzaz­ione più intelligen­te per fare il lavoro a distanza e mantenere viva la creatività.

La gestione del personale del Cnr con le regole della pubblica amministra­zione non è sempre efficace per l’attività di ricerca. All’Iit ci sono i contratti a tempo determinat­o...

Troppa burocrazia non fa bene alla ricerca. Ma neppure troppa mobilità, se riduce l'accumulazi­one di conoscenza. Il giusto è nel mezzo, purché favorisca il merito. Il Cnr andrebbe semplifica­to: ma non sono sicuro che il tempo determinat­o sia la soluzione.

Sette anni sono lunghi per un programma di ricerca nazionale?

Potranno cambiare i temi. Ma non lo spirito: digitale e green, impatto sociale, filiera corta tra ricerca e industria ispirano tutta la nostra strategia.

‘‘ PIÙ VICINI ALLE AZIENDE Va riorganizz­ato il rapporto tra ricerca e sviluppo industrial­e. Più attenzione alle piccole e medie imprese

‘‘ IL CASO VERBALI COVID RISERVATI La secretazio­ne delle discussion­i in seno al Cts? Si è dovuta gestire l’emotività della situazione

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Università e ricerca. Il ministro Gaetano Manfredi IMAGOECONO­MICA

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