Nasce la filiera made in Italy per produrre mascherine
Al via l’impianto Chiros: centrato l’obiettivo del costo a 50 centesimi Dai macchinari Ima Group ai tessuti non tessuti della torinese Ahlstrom
Mascherine tutte made in Italy. Grazie a una macchina costruita in tempi record dalla Ima di Bologna, allo speciale tessuto della Ahlstrom di Torino e alla iniziativa di Chiros, azienda di Fossalta di Portogruaro. Il tutto certificato con il supporto tecnico di Confindustria AltoAdriatico.
« Il 18 marzo scorso, poco più di quattro mesi fa, in Italia non si produceva una sola mascherina: andavamo a prenderle in tutto il mondo con gli aerei militari e dovevamo decidere come distribuirle per proteggere i nostri sanitari, non ancora i cittadini. Oggi siamo in grado di garantire l’autosufficienza » .
Domenico Arcuri ricorda il giorno della sua nomina a Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid- 19: parla in videocollegamento con l’azienda Chiros di Fossalta di Portogruaro, dove si inaugura il nuovo macchinario - il primo in Italia di questo tipo - per la produzione automatizzata di mascherine chirurgiche di tipo 2.
Chiros, specializzata in produzione di capi spalla in pelle per le migliori griffe della moda, era stata fra le prime a riconvertirsi e avviare, già a maggio, una produzione di mascherine per dare risposta alla scarsità di dispositivi di protezione nella sanità. Allora, con il supporto di Confindustria Alto Adriatico, era stato seguito l’intero iter autorizzativo per arrivare alla certificazione e, anche con il contributo di un’altra azienda associata (la Savio Macchine tessili di Pordenone che ha una sede a Jining, nello Shandong), era no state svolte le pratiche necessarie per importare dalla Cina il macchinario necessario, arrivato in volo fino a Milano Malpensa per abbreviare i tempi che sarebbero stati necessari con un viaggio in nave.
Quella che nasce oggi è però una filiera completamente made in Italy a cominciare dal macchinario, firmato dalla bolognese Ima: «Siamo stati contattati in pieno lockdown, ha spiegato Massimo Marchesini, direttore generale dei sistemi industriali di Ima Group - e ci è stato chiesto di costruire una macchina per produrre mascherine a velocità elevata: a fine marzo abbiamo sfruttato al meglio le conoscenze di un’azienda del gruppo che produce macchine per il mondo delle salviette umidificanti, e questo ci ha agevolati anche se tutto il resto andava progettato e testato. Siamo partiti con cinque prototipi, cui hanno fatto seguito altri macchinari e oggi, a tre mesi e mezzo di distanza, installiamo e partiamo. Una cosa mai accaduta in precedenza: questo testimonia che nei momenti di difficoltà – ha concluso Marchesini – l’Italia trova le sue grandissime competenze » .
Italiano è il tessuto non tessuto, della torinese Ahlstrom, così come i naselli: solo parte degli elastici viene importata. E ci sono quattro nuovi posti di lavoro. Il tutto partendo da una filiera che non esisteva: « In Italia non c’era nulla, come materia prima e men che meno come macchine - dice l’imprenditore Ciro Astarita -. Ci siamo imposti due obiettivi: da un lato tutelare l’azienda, certi che saremmo andati incontro a oggettive difficoltà nel nostro settore di riferimento e, dall’altro, rendere autosufficienti le forniture di dispositivi di protezione per il nostro territorio. Da quel momento abbiamo lavorato a testa bassa facendo sistema e ottenendo la certificazione per il nostro dispositivo dall’Istituto Superiore di Sanità. Abbiamo poi avuto l’opportunità, o se volete la fortuna, di poter acquistare un macchinario prodotto in Italia capace di 400 pezzi al minuto » .
La nuova produzione marcia già al ritmo di 10 milioni di pezzi al mese, 24 ore su 24: il tutto, grazie ad automazione e innovazione, centrando l’obiettivo di un costo inferiore ai 50 centesimi, come indicato dallo stesso Arcuri.
Un esempio «dell’Italia che funziona - sottolinea Maria Cristina Piovesana, vicepresidente di Confindustria e presidente di Assindustria VenetoCentro - Purtroppo ce ne rendiamo conto quando c’è necessità, le competenze però non si costruiscono dall’oggi al domani. Questa è l’opportunità per rivolgere un appello, quello alla collaborazione fra lo Stato e le aziende: crediamo nelle istituzioni – ha concluso – ma abbiamo la necessità di uno Stato amico che valorizzi i nostri sforzi molto spesso silenziosi. Il sistema industriale è al fianco del Paese » .
E la manifattura sa farsi carico «anche di straordinarie emergenze - ha ricordato il presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti. « Da qui è partita una risposta all’appello rivolto al sistema industriale per rendere autosufficiente il Paese in ordine ai presidi sanitari fondamentali. Abbiamo accettato la sfida individuando un imprenditore disposto a rischiare del suo e al quale Confindustria Alto Adriatico ha fornito tutta l’assistenza necessaria. Non dimentichiamo che all’inizio eravamo del tutto sprovvisti di questi dispositivi, li importavamo, talvolta non sapevamo nemmeno che cosa sarebbe arrivato e i prezzi erano elevatissimi, da pura speculazione. Arcuri, allora, disse che voleva le mascherine nelle farmacie a mezzo euro l’una, tutti insorsero dicendo che quel prezzo avrebbe messo le aziende nella impossibilità di poter agire in condizioni economiche, invece non è stato così: l’insieme del sistema ha reagito positivamente, e ora abbiamo una filiera quasi completa in pochissimi mesi » .
Un messaggio, anche, di quello che va fatto ora per reagire alla crisi che segue l’emergenza sanitaria: « Possiamo riportare a casa intere produzioni, sappiamo fare bene molte delle cose che oggi importiamo. Una politica attiva di reshoring – ha concluso Agrusti – è fondamentale, perché siamo in grado di realizzare buona parte di ciò che in questi anni abbiamo demandato all’estero, e può servire ad aggredire la montagna del debito pubblico » .