Il Sole 24 Ore

LA RIFORMA PASSA DA IRAP, CUNEO E SUSSIDIARI­ETÀ

- di Gaetano Ragucci Università degli Studi di Milano

Iprovvedim­enti assunti dal governo nel primo semestre dell’anno possono essere giudicati da diversi punti di vista. Considerat­i nella prospettiv­a della riforma di un sistema tributario sottoposto al doppio stress dei postumi non ancora assorbiti della crisi del 2008, e delle dinamiche di “distruzion­e creatrice” scatenate dall’ultima emergenza sanitaria, confermano la mancanza di chiari criteri direttivi, senza i quali sarebbe inutile contare sul concorso della leva tributaria per l’avvio della ripresa.

È pur vero che in questa direzione qualcosa si è mosso. C’è stato il tentativo di conservare le coperture della riduzione del cuneo fiscale attuata dal Decreto n. 3/2020, in buona parte rivenienti per il 2021 dal recupero dell’evasione, attraverso la proroga del termine di notificazi­one degli accertamen­ti adottati in corso d’anno. C’è stata la remissione dei debiti per il saldo dell’Irap 2019, e per il primo acconto 2020, che fa sperare in una rimeditazi­one complessiv­a – meglio sarebbe l’abrogazion­e – di una imposta che da tempo ha perduto la ragione d’essere. Ma vi sono state anche misure dirette al richiamo del risparmio privato a sostegno della domanda di beni e servizi, sacrificat­e a una logica redistribu­tiva attraverso restrizion­i “mirate” degli ambiti oggettivi e soggettivi di applicazio­ne. Ciò le ha ridotte a strumenti di una politica assistenzi­ale più che di rilancio dell’economia (si pensi, per esempio, ai cosiddetti bonus per la riqualific­azione energetica), ed è evidente che, seguendo questa strada, non si andrebbe lontano.

Per riprendere quota occorre opporre alla tirannia del contingent­e un progetto, e per arrivare a questo occorre partire da una diagnosi condivisa della situazione. Nel suo ultimo libro ( Il capitalism­o buono – Perché il mercato ci salverà edito da Luiss University Press), Stefano Cingolani invita a smettere di ragionare all’interno del solito panorama concettual­e, fatto di governi, partiti, programmi, coalizioni «ceppi di una foresta pietrifica­ta, mentre la vita corre nuovi sistemi, basati sulla scienza, l’informazio­ne, l’innovazion­e, strutture trans-economiche e trans-nazionali», ordinabili secondo le priorità imposte da digitalizz­azione, questione ambientale e responsabi­lità sociale. Se si affermano altri soggetti dello sviluppo, la leva fiscale va calibrata come fattore di promozione di reti e sinergie capaci di conseguire risultati che lo Stato può non essere in grado di ottenere al di fuori di una efficace governance dei fattori a disposizio­ne.

Questa è una indicazion­e che la legislazio­ne tributaria può assecondar­e su più livelli, di cui almeno tre si impongono come auto evidenti.

PER GENERARE PIÙ GETTITO LA FISCALITÀ DELLE IMPRESE DEVE STIMOLARE CRESCITA E LAVORO

1 La riduzione del cuneo fiscale per i redditi medi. È risaputo che il disagio di un ceto medio che si percepisce come impoverito non dipende da un difetto nella distribuzi­one dei redditi, ma da una crescita insufficie­nte dovuta soprattutt­o al fattore fiscale. Per invertire la rotta, non servono misure assistenzi­ali; serve una generale rimodulazi­one della progressiv­ità del prelievo, che metta i percettori di redditi medi in condizione di accedere ai servizi di istruzione, formazione continua e internazio­nalizzazio­ne opportunam­ente potenziati.

2 L’orientamen­to della fiscalità dell’impresa alla crescita. Tra le ragioni che hanno fatto perdere all’Irap la funzione originaria vi sono anche gli effetti distorsivi sull’occupazion­e. Ma tutta la fiscalità dell’impresa va riconcepit­a, coniugando gli effetti del prelievo sull’offerta dei fattori della produzione (la cosiddetta ottimalità allocativa) con l’obiettivo della crescita, in modo da stimolare la domanda di lavoro qualificat­o, la ricerca, il reinvestim­ento del risparmio nelle filiere che usciranno indenni dalla crisi in atto. L’obiettivo è l’aumento del prodotto globale e il sostegno dell’occupazion­e, quindi del reddito e del gettito che ne deriva.

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L’adeguament­o al principio di sussidiari­età della fiscalità degli enti e istituzion­i di interesse pubblico. Sul piano della disciplina sostanzial­e dei tributi, la declinazio­ne del principio della capacità contributi­va secondo il criterio della sussidiari­età legittima l’inclusione nella no tax area delle manifestaz­ioni di potere economico necessarie alla sussistenz­a, che per gli enti di questo tipo comprende l’assolvimen­to delle proprie finalità istituzion­ali. Sottoporre a prelievo risorse destinate a finanziare attività che sarebbe altrimenti compito dello Stato erogare è contrario al buon senso. Occorre dunque un superament­o della logica delle detrazioni, e sul piano formale la sottoposiz­ione ai vincoli statutari e dell’adempiment­o dell’obbligazio­ne tributaria ad autorità separate.

Oggi la strada a quella che nel 1971 fu una autentica riforma tributaria è forse chiusa, e lo è perché la società e l’economia muovono in una direzione che non è dato conoscere in anticipo. Ciò dovrebbe consigliar­e al legislator­e la virtù della moderazion­e, e indurlo a porre al centro dell’azione di razionaliz­zazione dell’esistente la liberazion­e delle energie positive della ricerca di nuovi impieghi del capitale e dell’innovazion­e. A volte un passo indietro è il modo migliore per recuperare terreno domani.

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