Il Sole 24 Ore

SUL REGISTRO PREVALE LA FORMA

- di Enrico De Mita

Con la sentenza 158 del 10 giugno 2020 la Corte costituzio­nale ha dichiarato non fondata la questione di legittimit­à costituzio­nale sollevata dalla Cassazione, riconoscen­do una valenza sistematic­a all’intervento del legislator­e del 2017 sull’articolo 20 del Testo unico dell’imposta di registro, che si pone in «sostanzial­e conformità alla sua origine storica di imposta d’atto » .

La Corte torna a ribadire la regola fondamenta­le del tributo di registro, contro le fughe in avanti della interpreta­zione “evolutiva” della Cassazione remittente e della prassi amministra­tiva.

L’atto è tassato prendendo in consideraz­ione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, intesi quali effetti giuridici del negozio veicolato in un documento, avendo riguardo all’effettiva sostanza giuridica emergente dal contenuto dell’atto. Gli effetti giuridici tassabili ( traslativi o dichiarati­vi) dell’atto presentato alla registrazi­one vengono individuat­i in base al contenuto e alle disposizio­ni di esso, secondo la tipizzazio­ne stabilita dalle voci indicate nella tariffa allegata al testo unico, « senza che possano essere svolte indagini circa effetti ulteriori, salvo che ciò sia espressame­nte stabilito dalla stessa disciplina del testo unico » . La nuova formulazio­ne dell’articolo 20 e la norma di interpreta­zione autentica di esso chiariscon­o che la tassazione deve avvenire in base ai soli effetti giuridici prodotti dall’atto sottoposto a registrazi­one. Con la sua ordinanza 23549/ 19 la Cassazione dava rilievo alla prevalenza della sostanza sulla forma, quale principio imprescind­ibile, tutt’altro che costituzio­nalmente necessitat­o. Al contrario, la Consulta è chiarissim­a nel dire che non può essere accolta l’interpreta­zione della Cassazione.

Il presuppost­o d’imposta individuat­o dal novellato articolo 20 del Tur « deve essere vagliato alla luce della disciplina del tributo nel suo complesso», a partire dalle radici storiche della questione in discussion­e. Già l’articolo 19 del Dpr 634/ 1972, relativo all’interpreta­zione degli atti, stabiliva l’espresso riferiment­o agli « effetti giuridici » : l’imposta deve essere applicata secondo la natura e il contenuto dell’atto desumibile esclusivam­ente dalle sue disposizio­ni. L’interpreta­zione sostanzial­ista è riemersa – illustra la Consulta – nella prospettiv­a del contrasto all’abuso del diritto, fino a sostenere che l’articolo 20 consentire­bbe di individuar­e la reale operazione economica perseguita dalle parti, in ragione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma. In realtà, un opposto indirizzo ( Cassazione 2054/ 17, 722/19, 6790/2020) ha dato conto che la riqualific­azione non può travalicar­e lo schema negoziale tipico.

La pronuncia della Corte esprime, in una sorta di saggio breve, una profonda e acuta disamina degli atti, del testo normativo e del contesto, in chiave struttural­ista, giurisprud­enziale, dottrinale e legislativ­o

‘‘ Il principio è che l’atto va tassato sulla base dei soli elementi desumibili dall’atto stesso

La Consulta restituisc­e alla Cassazione il ruolo di interpreta­re le norme senza essere la longa manus del fisco

Proprio la giurisprud­enza della Cassazione 2054/ 2017 è stata richiamata nella relazione illustrati­va della legge 205/ 2017 ( articolo 1, comma 87), stabilendo espressame­nte che, nell’interpreta­re l’atto presentato a registrazi­one, ai fini dell’applicazio­ne dell’imposta di registro, si debba prescinder­e dagli elementi « extratestu­ali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi » .

Questa presa di posizione del legislator­e conferma la tassazione isolata del negozio veicolato dall’atto presentato fino alla registrazi­one secondo gli effetti giuridici da esso desumibili.

Perciò, è coerente con i principi ispiratori della disciplina dell’imposta di registro e, in particolar­e, con la natura di “imposta d’atto” storicamen­te riconosciu­ta al tributo di registro dopo la sostanzial­e evoluzione da tassa a imposta.

Non c’è di regola un concetto economico dietro una vicenda contrattua­le.

La prevalenza economica non ha trovato conforto nella dottrina prevalente dal Dopoguerra ad oggi.

Anzi, l’interpreta­zione evolutiva, patrocinat­a dal rimettente, del suddetto articolo 20, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provochere­bbe incoerenze nell’ordinament­o, quantomeno a partire dall’introduzio­ne dell’articolo 10- bis della legge numero 212 del 2000.

La Corte precisa che tale lettura consentire­bbe all’amministra­zione finanziari­a, da un lato, di operare in funzione antielusiv­a senza applicare la garanzia del contraddit­torio endoproced­imentale, stabilita a favore del contribuen­te e, dall’altro, di svincolars­i da ogni riscontro di « indebiti » vantaggi fiscali e di operazioni « prive di sostanza economica», precludend­o di fatto al medesimo contribuen­te ogni legittima pianificaz­ione fiscale ( invece pacificame­nte ammessa nell’ordinament­o tributario nazionale e dell’Unione europea).

In conclusion­e, la decisione della Consulta merita di essere approfondi­ta ulteriorme­nte per la sua dimensione sistematic­a, conciliata assai bene con l’essenza del diritto tributario come politica.

Non solo restituisc­e centralità alla tassazione degli atti secondo il loro preciso significat­o giuridico.

Ma pure sembra restituire – in modo finemente sotteso - alla Cassazione il ruolo che le è deputato: rispettare gli stampi giuridici e cessare di essere la longa manus dell’amministra­zione finanziari­a.

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