Ex Ilva, la produzione cade a 3,5 milioni di tonnellate
Taranto è ai minimi storici e non beneficia della ripresa di domanda dei coils a caldo Ipotesi d’insediamento Ferretti per la costruzione di yacht nell’area ex Belleli
Produzione al minimo storico all’ex Ilva di Taranto, ora Arcelor Mittal. Rispetto a un obiettivo di 6 milioni di tonnellate annunciato a novembre 2018, gli ultimi dati parlano di una produzione annua di 3,5 milioni di tonnellate.
Otto anni dopo il sequestro dell’area a caldo per il reato di disastro ambientale, l’agosto 2020 dell’ex Ilva di Taranto, ora ArcelorMittal, si consuma nell’immobilità. Mercato in crisi già da metà 2019 e vicenda Covid hanno assestato un ulteriore colpo ad una fabbrica che da luglio dell’anno scorso ha avviato la cassa integrazione senza mai fermarla, anzi aumentandola. C’è movimento ai pontili 3 e 5 dello stabilimento: si imbarcano per le spedizioni lamiere e prodotti. Ma non è il segnale di un siderurgico avviato alla ripresa (Siderweb segnala maggiore domanda e prezzo in aumento per i coils a caldo) poichè si tratta di produzione precedente. La realtà parla di molti impianti fermi. L’elenco è lungo: altoforno 2, acciaieria 1 - questi fermi da metà marzo -, Treno nastri 1, inattivo da ancor prima, Treno Lamiere, Decapaggio, Decatreno, Zincatura 1 e 2. Alcuni impianti dovrebbero ripartire dopo il 16. Ci sono poi settori inattivi da anni come i Tubifici. Mentre la cassa integrazione che un anno fa, su una richiesta massima per 1.200 dipendenti ArcelorMittal, vedeva un utilizzo reale per 7- 800, da metà marzo è salita a 8.150 come richiesta ed un uso effettivo per circa 4.000.
Produzione al minimo storico
Rispetto ad un obiettivo di 6 milioni di tonnellate annunciato da ArcelorMittal a novembre 2018 ( ma già accantonato a maggio 2019), i dati ultimi parlano di una produzione annua di 3,5 milioni. In attività un’acciaieria su due e due altiforni su tre. Raccontano i sindacalisti che in una delle ultime riunioni il direttore del personale, Arturo Ferrucci, abbia annunciato, soddisfatto, che il secondo trimestre è andato bene e si sarebbe chiuso quasi in pareggio. E anche nel quartier generale di ArcelorMittal non sarebbe sfuggito il lavoro dell’ad Lucia Morselli nell’arginare le perdite che tra fine 2019 e inizio 2020 viaggiavano nell’ordine di circa 100 milioni al mese. «Certo - commentano i sindacalisti - i conti saranno anche migliorati, ma la produzione è irrisoria, metà forza lavoro è fuori, in cassa integrazione Covid e quindi senza oneri per l’azienda, l’indotto non viene pagato nonostante lo scaduto fatture, e nemmeno il canone di fitto ArcelorMittal versa alla proprietà Ilva in as » .
Una città in attesa
Tra giugno e luglio, più volte le rappresentanze di Taranto, da enti locali a Camera di Commercio e Confindustria, hanno chiesto al Governo di essere convocate per capire come evolverà la vicenda Ilva e prospettare le loro richieste. Gli appelli sono però caduti nel vuoto. Stessa sorte anche ai sindacati. Nessuna convocazione nemmeno per loro e qualche giorno fa il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, ha dichiarato che si convocano le parti sociali, quando c’è qualcosa di nuovo da dire o delle situazioni da valutare. Segno che per ArcelorMittal si è lontani da questa fase.
La trattativa con l’azienda
Nelle ultime call conference del lunedì - un punto di inizio settimana - tra commissari Ilva, Mise, Mef e Invitalia, è emerso sempre che la trattativa con ArcelorMittal sta andando avanti. Dopo che ai primi di giugno il Governo aveva respinto il nuovo piano aziendale 2020- 2025 perché, rispetto all’accordo di marzo, tagliava produzione e forza lavoro (3.200 esuberi), sembrava che il rapporto con ArcelorMittal, già molto conflittuale da un anno, potesse saltare. Invece è rimasto in piedi e si prova ad andare avanti. «Siamo in una fase di negoziato - ha confermato domenica sera il premier Giuseppe Conte ad una delegazione dell’associazione “Genitori Tarantini” incontrata a margine di un evento a Ceglie Messapica -, ma dire ora come si concluderà, è prematuro » . I riferimenti del Governo sono da un lato l’accelerazione della transizione energetica - per avere un siderurgico sostenibile utilizzando le risorse del “Recovery Fund” - e dall’altro “condizioni massime” di sicurezza e tutela ambientale. A ciò si aggiunga la riconferma dell’intervento pubblico, con Invitalia accanto al privato. La società del Mef, attraverso il dl “Agosto”, potrà infatti usare nell’operazione Ilva i 470 milioni avanzati dall’intervento su Popolare Bari attraverso il Mediocredito Centrale. Ma la svolta green della fabbrica è ancora da scrivere. Anche perchè girano diverse ipotesi (decarbonizzazione, forno elettrico, idrogeno, ridimensionamento dell’area a caldo) e alcune, come l’idrogeno, presuppongono tempi lunghi. Fonti di Governo spiegano che in questa fase il confronto con Mittal sta affrontando temi come conti, debiti, valutazione della società, aumento di capitale per ripianare le perdite, più che il piano industriale o gli esuberi. Indefinito, per ora, chi nella nuova società avrà la maggioranza. Mittal sarebbe però indisponibile a stare in minoranza e andrebbe via. Mentre il Governo prenderebbe la maggioranza - anche solo transitoriamente per decidere la direzione di marcia - solo se il piano industriale non fosse convincente nelle prospettive.
Esuberi certi
« La transizione energetica porterà degli esuberi». Conte lo ha ammesso nell’incontro di domenica sera. I sindacati si oppongono ma è da escludere che la fabbrica resti con la stessa forza lavoro (8.200). Fonti di Governo parlano di un piano specifico che potrebbe vedere la luce ad ottobre. Oltre alla cassa integrazione, tra rilancio degli esodi anticipati e incentivati, prepensionamenti e travaso di lavoratori in nuove iniziative, si punta ad attutire i tagli. Anche per questo si cerca di accelerare su nuovi progetti. Come l’insediamento del gruppo Ferretti per la costruzione di yacht nell’area ex Belleli. Inoltre, il rilancio dell’Arsenale della Marina Militare con 315 nuove assunzioni di tecnici in tre anni previste nel dl “Agosto”, spingerebbe Fincantieri ad usare di più lo stabilimento della Difesa assumendo anche del personale.