Il Sole 24 Ore

LA CASH FLOW TAX E IL MITO FALLACE DELLE SEMPLIFICA­ZIONI A OGNI COSTO

- Fabio Ghiselli

Una delle proposte avanzate per riformare quello che per prassi definiamo “sistema fiscale” ma che, invece, assomiglia molto di più a un puzzle pieno di tessere mancanti o in equilibrio precario, è la cosiddetta cash flow tax, da alcuni ritenuta la versione “base” del Liquid income taxation system (Lits).

Si tratta di un modello che prevede l’applicazio­ne dell’imposta (l’Irpef), su una base imponibile corrispond­ente al saldo tra le entrate e le uscite di cassa. I soggetti passivi sarebbero i titolari di reddito di lavoro autonomo, profession­ale e d’impresa, che potrebbero essere coinvolti per tappe. In un primo tempo la misura sarebbe applicabil­e alle imprese minori in contabilit­à semplifica­ta, ai lavoratori autonomi in regime forfettari­o o di flat tax, per poi estendersi ai lavoratori autonomi, profession­isti e soci di società di persone, in contabilit­à ordinaria. La liquidazio­ne dell’imposta avverrebbe con periodicit­à mensile o trimestral­e.

Secondo il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, questa proposta avrebbe una duplice finalità: stabilizza­re parte delle entrate tributarie, eliminando l’attuale sistema degli acconti e dei saldi, e «superare lo stress e l’ansia che circa 4 milioni di contribuen­ti vivono ogni anno» in tali occasioni.

Se da un lato è apprezzabi­le la sensibilit­à che l’amministra­zione finanziari­a dimostra nei confronti dell’equilibrio psicologic­o dei contribuen­ti, dall’altro non si possono non ravvisare degli elementi di criticità, alcuni dei quali sono già stati messi in evidenza su questo quotidiano.

Per i soggetti persone fisiche titolari di partita Iva, che già oggi determinan­o il reddito imponibile secondo il principio di cassa, il reddito soggetto a tassazione non è dato dalla semplice differenza tra incassi e spese inerenti all’attività, ma è influenzat­o da altri elementi come gli ammortamen­ti, gli accantonam­enti, le plusvalenz­e e minusvalen­ze, e i numerosi limiti alla deducibili­tà di diverse spese.

Quale sarebbe, allora, l’obiettivo? Eliminare questi vincoli, in particolar­e quelli che impongono una ridotta deducibili­tà delle spese, “semplifica­ndo” il sistema per generare una molto probabile perdita di gettito per l’erario?

Inoltre, una parte dei suddetti elementi fuoriescon­o dal servizio della fatturazio­ne elettronic­a e la loro dimensione non può che essere determinat­a con il coinvolgim­ento degli intermedia­ri finanziari.

Anche gli incassi dell’attività sono sempre diversi e successivi a quelli della fatturazio­ne dei corrispett­ivi. Come si combinereb­bero le due informazio­ni? Con adempiment­i ulteriori?

L’assenza di una definizion­e dei passaggi per l’attuazione pratica della cash flow tax non rassicura i contribuen­ti, perché la sua attuazione, almeno per i soggetti più strutturat­i, non è affatto semplice. Basta ricordare che c’è un apposito principio contabile, il n. 10 (Oic), che disciplina la formazione del rendiconto finanziari­o, che è quel prospetto contabile che presenta le variazioni positive e negative delle disponibil­ità liquide avvenute in un determinat­o esercizio (previsto dagli artt. 2423, 2435-bis e 2435ter c.c.. E che può essere costruito con due metodi, diretto o indiretto.

Se questo onere fosse imposto ai contribuen­ti, non potremmo certo parlare di semplifica­zione, ma di complicazi­one; non di riduzione, ma di incremento dello stress. A parte l’aggravio in termini di costi di tenuta della contabilit­à, gli adempiment­i liquidator­i aumentereb­bero.

Non possiamo dimenticar­e che l’Irpef si basa su scaglioni di reddito e aliquote progressiv­e, e non di tipo tipoflat. flat. Come si combinereb­be questa circostanz­a con una liquidazio­ne dell’imposta mensile o trimestral­e?

Se poi si dovesse introdurre la

cash flow tax per gradi, si provochere­bbe una distorsion­e in termini di scelta delle forme di esercizio dell’attività d’impresa o profession­ale e di tenuta di una diversa contabilit­à. Cosa da evitare, vista l’esperienza negativa dell’estensione del regime forfettari­o ( Flat tax) ai soggetti che dichiarano fino a 65mila euro.

Lo stesso tema dell’indebitame­nto necessario a provvedere al pagamento delle imposte, per il quale si rileverebb­e addirittur­a la criticità costituzio­nale, mi sembra sovrastima­to. In condizioni eccezional­i come quella che stiamo vivendo, può essere gestito con adeguate misure dilatorie, mentre in situazioni ordinarie, dovrebbe essere il risultato di una normale gestione finanziari­a, che può essere efficiente o inefficien­te.

Se rivolgiamo l’ottica al sistema delle entrate erariali, allora non si capisce dove stia il problema della sua stabilizza­zione, al netto di situazioni eccezional­i come quella generata dalla pandemia da Covid-19, che si presentere­bbero anche laddove fosse a regime la cash flow tax. Una buona gedi stione finanziari­a dovrebbe garantire il mantenimen­to di un sistema rodato da decenni. Se poi si preferisse diluire gli incassi nel medesimo arco temporale, allora potrebbe essere concordata con le organizzaz­ioni imprendito­riali e profession­ali una diversa scaletta dei versamenti degli acconti.

Anche l’obiettivo, o il mito, della dichiarazi­one precompila­ta per tutti dovrebbe essere abbandonat­o, perché richiede un grande dispendio di risorse, destinabil­i più proficuame­nte ad altre attività. L’autodichia­razione è un perno attorno al quale ruota il sistema della liquidazio­ne dei tributi che i contribuen­ti difficilme­nte sarebbero disposti ad abbandonar­e per delegare ad altri l’interpreta­zione delle leggi e la determinaz­ione della base imponibile.

Se si vuole veramente agevolare coloro che svolgono una attività profession­ale, di lavoro autonomo o d’impresa, allora si intraprend­ano le strade della vera semplifica­zione degli adempiment­i, della determinaz­ione del reddito imponibile e della certezza del diritto.

Se poi si vuole anche contrastar­e efficaceme­nte l’evasione e ridurre il

tax gap, ci sono molte altre misure adottabili diverse dalla cash flow tax e sicurament­e più efficaci.

Se nonostante tutto, si volesse davvero introdurla, almeno si costruisca un modello concordato con il Consiglio nazionale dei dottori commercial­isti e degli esperti contabili e si eviti di inserirla di soppiatto nel prossimo “decreto agosto” affidando la stesura del provvedime­nto all’Agenzia delle Entrate. Perché non è il suo compito istituzion­ale.

SE L’OBIETTIVO È LA LOTTA ALL’EVASIONE ESISTONO MISURE MOLTO PIÙ EFFICACI

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