LA CASH FLOW TAX E IL MITO FALLACE DELLE SEMPLIFICAZIONI A OGNI COSTO
Una delle proposte avanzate per riformare quello che per prassi definiamo “sistema fiscale” ma che, invece, assomiglia molto di più a un puzzle pieno di tessere mancanti o in equilibrio precario, è la cosiddetta cash flow tax, da alcuni ritenuta la versione “base” del Liquid income taxation system (Lits).
Si tratta di un modello che prevede l’applicazione dell’imposta (l’Irpef), su una base imponibile corrispondente al saldo tra le entrate e le uscite di cassa. I soggetti passivi sarebbero i titolari di reddito di lavoro autonomo, professionale e d’impresa, che potrebbero essere coinvolti per tappe. In un primo tempo la misura sarebbe applicabile alle imprese minori in contabilità semplificata, ai lavoratori autonomi in regime forfettario o di flat tax, per poi estendersi ai lavoratori autonomi, professionisti e soci di società di persone, in contabilità ordinaria. La liquidazione dell’imposta avverrebbe con periodicità mensile o trimestrale.
Secondo il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, questa proposta avrebbe una duplice finalità: stabilizzare parte delle entrate tributarie, eliminando l’attuale sistema degli acconti e dei saldi, e «superare lo stress e l’ansia che circa 4 milioni di contribuenti vivono ogni anno» in tali occasioni.
Se da un lato è apprezzabile la sensibilità che l’amministrazione finanziaria dimostra nei confronti dell’equilibrio psicologico dei contribuenti, dall’altro non si possono non ravvisare degli elementi di criticità, alcuni dei quali sono già stati messi in evidenza su questo quotidiano.
Per i soggetti persone fisiche titolari di partita Iva, che già oggi determinano il reddito imponibile secondo il principio di cassa, il reddito soggetto a tassazione non è dato dalla semplice differenza tra incassi e spese inerenti all’attività, ma è influenzato da altri elementi come gli ammortamenti, gli accantonamenti, le plusvalenze e minusvalenze, e i numerosi limiti alla deducibilità di diverse spese.
Quale sarebbe, allora, l’obiettivo? Eliminare questi vincoli, in particolare quelli che impongono una ridotta deducibilità delle spese, “semplificando” il sistema per generare una molto probabile perdita di gettito per l’erario?
Inoltre, una parte dei suddetti elementi fuoriescono dal servizio della fatturazione elettronica e la loro dimensione non può che essere determinata con il coinvolgimento degli intermediari finanziari.
Anche gli incassi dell’attività sono sempre diversi e successivi a quelli della fatturazione dei corrispettivi. Come si combinerebbero le due informazioni? Con adempimenti ulteriori?
L’assenza di una definizione dei passaggi per l’attuazione pratica della cash flow tax non rassicura i contribuenti, perché la sua attuazione, almeno per i soggetti più strutturati, non è affatto semplice. Basta ricordare che c’è un apposito principio contabile, il n. 10 (Oic), che disciplina la formazione del rendiconto finanziario, che è quel prospetto contabile che presenta le variazioni positive e negative delle disponibilità liquide avvenute in un determinato esercizio (previsto dagli artt. 2423, 2435-bis e 2435ter c.c.. E che può essere costruito con due metodi, diretto o indiretto.
Se questo onere fosse imposto ai contribuenti, non potremmo certo parlare di semplificazione, ma di complicazione; non di riduzione, ma di incremento dello stress. A parte l’aggravio in termini di costi di tenuta della contabilità, gli adempimenti liquidatori aumenterebbero.
Non possiamo dimenticare che l’Irpef si basa su scaglioni di reddito e aliquote progressive, e non di tipo tipoflat. flat. Come si combinerebbe questa circostanza con una liquidazione dell’imposta mensile o trimestrale?
Se poi si dovesse introdurre la
cash flow tax per gradi, si provocherebbe una distorsione in termini di scelta delle forme di esercizio dell’attività d’impresa o professionale e di tenuta di una diversa contabilità. Cosa da evitare, vista l’esperienza negativa dell’estensione del regime forfettario ( Flat tax) ai soggetti che dichiarano fino a 65mila euro.
Lo stesso tema dell’indebitamento necessario a provvedere al pagamento delle imposte, per il quale si rileverebbe addirittura la criticità costituzionale, mi sembra sovrastimato. In condizioni eccezionali come quella che stiamo vivendo, può essere gestito con adeguate misure dilatorie, mentre in situazioni ordinarie, dovrebbe essere il risultato di una normale gestione finanziaria, che può essere efficiente o inefficiente.
Se rivolgiamo l’ottica al sistema delle entrate erariali, allora non si capisce dove stia il problema della sua stabilizzazione, al netto di situazioni eccezionali come quella generata dalla pandemia da Covid-19, che si presenterebbero anche laddove fosse a regime la cash flow tax. Una buona gedi stione finanziaria dovrebbe garantire il mantenimento di un sistema rodato da decenni. Se poi si preferisse diluire gli incassi nel medesimo arco temporale, allora potrebbe essere concordata con le organizzazioni imprenditoriali e professionali una diversa scaletta dei versamenti degli acconti.
Anche l’obiettivo, o il mito, della dichiarazione precompilata per tutti dovrebbe essere abbandonato, perché richiede un grande dispendio di risorse, destinabili più proficuamente ad altre attività. L’autodichiarazione è un perno attorno al quale ruota il sistema della liquidazione dei tributi che i contribuenti difficilmente sarebbero disposti ad abbandonare per delegare ad altri l’interpretazione delle leggi e la determinazione della base imponibile.
Se si vuole veramente agevolare coloro che svolgono una attività professionale, di lavoro autonomo o d’impresa, allora si intraprendano le strade della vera semplificazione degli adempimenti, della determinazione del reddito imponibile e della certezza del diritto.
Se poi si vuole anche contrastare efficacemente l’evasione e ridurre il
tax gap, ci sono molte altre misure adottabili diverse dalla cash flow tax e sicuramente più efficaci.
Se nonostante tutto, si volesse davvero introdurla, almeno si costruisca un modello concordato con il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e si eviti di inserirla di soppiatto nel prossimo “decreto agosto” affidando la stesura del provvedimento all’Agenzia delle Entrate. Perché non è il suo compito istituzionale.
SE L’OBIETTIVO È LA LOTTA ALL’EVASIONE ESISTONO MISURE MOLTO PIÙ EFFICACI