Mercati La liquidità non aumenta e le Borse scendono
La massa monetaria Usa è elevata, ma non aumenta: i mercati vogliono di più
« No liquidity? No party! » . « Senza liquidità non si festeggia! » . È uno dei messaggi lanciati dai mercati nella seduta di ieri. Una giornata in cui le Borse europee, digeriti completamente gli interventi della Federal reserve e della Bank of Japan, hanno tirato i remi in barca (Milano ha ceduto l’1,14%). Certo, «il nervosismo - spiega Lorenzo Batacchi, portfolio manager di Bper Banca - è dovuto anche alle scadenze tecniche sui derivati di oggi » . Inoltre, non deve dimenticarsi che l’incertezza legata all’approssimarsi delle elezioni presidenziali Usa. Ciò detto, però, « gli operatori - sottolinea Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte Sim - hanno notato che il bilancio della Fed, dopo il balzo avviato nel marzo scorso, si è “fermato”». I total asset, contabilizzati dalla Federal reserve, hanno superato in giugno il livello di 7.100 miliardi di dollari. Di lì in poi l’indicatore, che segnala indirettamente quanta liquidità è immessa nel sistema dall’istituto presieduto da Jerome Powell, «è rimasto fermo. Ad oggi siamo intorno ai 7.000 miliardi » .
La dinamica, peraltro, è confermata dalla base monetaria M2 statunitense. A febbraio l’aggregato (che comprende M1 più tutte le altre attività finanziarie che, come la moneta, hanno elevata capacità di essere velocemente liquidati) viaggiava intorno ai 15.000 miliardi di dollari. Successivamente, in scia ai piani di emergenza anti-Covid, è salito fino ai 18.300 miliardi in luglio. Dopo ha iniziato a muoversi, un po’ su un po’ giù, intorno a quello stesso valore.Insomma: la Fed si messa in modalità “stand by”. E questo alle Borse non piace. Può obiettarsi: in giro per il pianeta di “denaro frusciante” ce ne è pure troppo. La liquidità globale è intorno ai 90.000 miliardi di dollari. Una cifra, che seppure abbia rallentato il suo tasso d’incremento, è enorme. E tuttavia, evidentemente, non basta. Gli investitori, assuefatti da anni e anni di “monetadone”, non appena si accorgono di una qualche frenata su questo fronte reagiscono male. Così non stupisce che, nonostante Powell abbia indicato la volontà di mantenere i tassi guida vicino allo zero almeno fino al 2023, i mercati si siano dichiarati insoddisfatti.
D’altro canto c’è un altro elemento che suscita perplessità. Quale? La curva dei rendimenti dei titoli di Stato usa. Quando la Fed ha, qualche tempo addietro, deciso di accettare temporaneamente un’inflazione superiore al 2%, immediatamente si è acceso il faro sui tassi del reddito fisso. Quest’ultimi, nel momento in cui i prezzi al consumo salissero, subirebbero una spinta all’insù. Cioè: l’asset in oggetto diventerebbe maggiormente appetibile, riducendo l’ atout dell’azionario. «Il mercato -riprende Cesarano - si aspetta che la Fed indichi il livello massimo oltre cui i rendimenti a lunga non potranno andare » . Nell’ultima riunione Powell non ha fornito indicazioni su questo fronte e i listini « si sono ulteriormente innervositi » .
Wall Street: ancora vendite sui titoli hi-tech. Gli investitori esteri cedono i corporate bond statunitensi
Obbligazioni aziendali
Ma non è solo una questione di titoli di Stato. Rilevano anche i corporate bond Usa. In luglio questi asset sono stati oggetto di vendite nette, da parte degli stranieri, per circa 54 miliardi di dollari. Un record. Ciononostante la Fed, che può arrivare ad acquistare obbligazioni societarie fino a 750 miliardi, finora si è fermata a 45 miliardi. La speranza è che non salti fuori un’altra gatta da pelare. «In realtà - tiene a specificare Carlo de Luca, responsabile AM di Gamma Capital Markets - la Fed non è così da criticare. Al di là del tema dei corporate bond, le sue mosse le ha fatte. È il mercato che, completamente scollegato dalla realtà, chiede sempre di più. Troppo! Ma è un circolo vizioso, molto pericoloso. A ben vedere le correzioni di questi giorni sono salutari » .