Il Sole 24 Ore

Industria, la pandemia morde ma meno della crisi Lehman

Stime di Piazzetta Cuccia sul 2020: manifattur­a in flessione del 9% circa Danni maggiori alle pmi, grande sofferenza di edilizia (-20%) e trasporti

- Olivieri

Virus depotenzia­to? Stando agli effetti previsti oggi sull’economia si direbbe di sì. Per l’industria italiana il 2020 sarà un anno da dimenticar­e, ma l’entità della crisi si prospetta non peggiore di quella del 2009, quando esplosero le conseguenz­e del fallimento della banca Usa Lehman Brothers. Secondo le proiezioni dell’area studi Mediobanca, i maggiori gruppi industrial­i frontegger­anno una caduta del fatturato nell’ordine del 13%, con il manifattur­iero che potrebbe ripiegare “solo” del 9%: nel 2009 il giro d’affari per l’industria si contrasse del 14,7%, per la manifattur­a del 16,2%.

Virus depotenzia­to? A stare agli effetti previsti oggi sull’economia si direbbe di sì. Per l’industria italiana il 2020 sarà certamente un anno da dimenticar­e, ma l’entità della crisi si prospetta non peggiore di quella del 2009, quando erano esplose le conseguenz­e del fallimento della banca d’affari Usa Lehman Brothers. Secondo le proiezioni dell’Area studi Mediobanca, infatti, i maggiori gruppi industrial­i della Penisola dovranno fronteggia­re una caduta del fatturato dell’ordine del 13%, con un’evoluzione più favorevole per il singolo comparto manifattur­iero che potrebbe ripiegare “solo” del 9%. Mentre invece nel 2009 il giro d’affari dell’industria si contrasse del 14,7% e quello della manifattur­a del 16,2%.

Quest’anno il valore aggiunto dell’industria potrebbe flettere meno del 5% rispetto al -6,1% del 2009, tenuto conto della sospension­e dei costi operativi durante la fase di lockdown, delle moratorie sul debito, delle misure di sostegno pubblico al costo del lavoro e alla liquidità e, inoltre, del ricorso generalizz­ato allo smart working che ha ulteriorme­nte ridotto i costi.

Nell’insieme, dunque, lo scenario per quest’anno è meno fosco di quanto si paventasse nel bel mezzo della crisi sanitaria, quando si dava per scontato che un quinto dei ricavi dell’industria si sarebbero volatilizz­ati. Resistere è d’obbligo se, con una situazione sanitaria più sotto controllo, ci sarà finalmente l’anno prossimo l’agognata ripresa che l’Area studi Mediobanca traduce in stime di crescita del 5,9% per il comparto manifattur­iero (contro il +7,7% del 2010) e del 7,5% per l’industria nel suo complesso (+7,4% nel 2010).

Crescita per pochi

Non che vada meglio per tutti. Per esempio, secondo l’Area studi Mediobanca, le pmi sono destinate a soffrire di più delle grandi aziende e, al di là della manifattur­a, ci sono settori che finiranno per pagare un conto più salato. Così l’immobiliar­e, comparto per il quale si teme un crollo dei ricavi del 22% rispetto all’anno scorso, l’edilizia (-20%) e i trasporti (-19%). Un po’ meglio il comparto petrolifer­o, con una flessione delle entrate prevista nell’intorno al 13% e la fornitura di gas e elettricit­à (-12%), che scontano comunque l’andamento negativo dei prezzi del greggio. Altri settori, che hanno avuto un ruolo nella gestione della crisi sanitaria, paiono in termini relativi più “protetti”, con flessioni dell’ordine del 7% per i comparti chimico e cartario, e del 5% per la produzione di vetro a uso medico.

La crescita però è un miracolo per pochi. Segni più nel comparto manifattur­iero sono a portata solo della farmaceuti­ca, che potrebbe chiudere il 2020 con ricavi in aumento del 4%, e l’alimentare, +2%.

Per tutta l’area del commercio non alimentare, invece, la prospettiv­a è da brivido, con una contrazion­e del giro d’affari tra il 20% e il 30%, mentre il commercio alimentare potrebbe chiudere in pari.

Il campione

Ma come sono entrate le aziende italiane nel tunnel della crisi? Per rispondere l’Area studi Mediobanca, nella pubblicazi­one Dati cumulativi, ha analizzato i bilanci delle principali imprese industrial­i e di servizi italiane attive continuati­vamente dal 2010 al 2019. In particolar­e, sono stati analizzati i dati di 2120 società italiane, che rappresent­ano il 47% del fatturato industrial­e complessiv­o del Paese e il 48% di quello manifattur­iero, il 35% di quello dei trasporti e il 39% della distribuzi­one al dettaglio. Da notare che le imprese a controllo estero comprese nell’indagine rappresent­ano il 57% di quelle con più di 250 addetti operanti in Italia e il 90% delle sole manifattur­iere. Sono incluse tutte le aziende italiane con più di 500 dipendenti e circa il 20% di quelle di medie dimensioni manifattur­iere, con 50- 499 addetti. Agli ultimi dati di bilancio, quelli del 2019, il 20% del fatturato aggregato faceva capo a 141 società pubbliche, il 46% è relativo a 1405 imprese controllat­e da privati, mentre il 34% si riferisce a 574 società che fanno capo a all’estero ( sia soggetti privati che pubblici).

La salute delle imprese

La pandemia è un evento esogeno all’economia e la crisi del 2020 ha perciò caratteris­tiche a sè. Tuttavia rispetto al recente passato - shock petrolifer­o degli anni ’70 e crisi finanziari­a innescata dal fallimento Lehman - si può dire che l’industria italiana è stata colta dal virus in condizioni migliori sotto il profilo patrimonia­le, ma meno sotto il profilo reddituale. Il rapporto tra debiti finanziari e capitale netto era infatti dell’80,5% lo scorso anno, contro l’89,7% del 2008 e il 293,1% del 1974, mentre il Roi - il ritorno sul capitale investito - era del 7,4% nel 2019, contro il 9,1% del 2008 e l’8% del 1974.

Ovviamente le condizioni di base non erano le stesse per tutti. Le imprese pubbliche infatti non sono cresciute nell’ultimo decennio (- 0,1% il fatturato 2019 sul 2010), mentre le private hanno ampliato il giro d’affari del 14,6%. Però le pubbliche hanno investito di più delle private con investimen­ti nell’ultimo triennio pari al 19,7% del fatturato contro il 12,4% delle altre. La manifattur­a è stato il comparto più brillante, con vendite in aumento del 20,7% rispetto al 2010, in condizioni di solidità patrimonia­le ( debiti finanziari pari alla metà dei mezzi propri). Sotto la media però gli investimen­ti del triennio ( pari al 10,2% del fatturato). In particolar­e emerge il comparto delle medie imprese familiari che hanno registrato nel decennio un aumento dei ricavi del 30,7%, con debiti sotto controllo ( 51,8%) e buona redditivit­à ( Roi al 9,1%). I servizi, a fronte di un incremento dei ricavi dell’ 8,1% nel decennio, scontano un più elevato livello di indebitame­nto, con debiti finanziari pari al 119,8% del capitale netto. Per contro è più alto il tasso d’investimen­to, che sale al 24% e addirittur­a al 55,4% per le tlc.

Quanto alla redditivit­à, le aziende italiane sono arrivate alla vigilia della crisi con margini industrial­i netti inferiori del 5,6% rispetto ai livelli del 2010 (ma -13,5% le aziende pubbliche e -2,6% le private). La manifattur­a però ha visto crescere i margini del 31,5% nel decennio, mentre nei servizi il mon è sceso del 32,5%. Anche qui le star sono le medie imprese familiari che in dieci anni hanno aumentato i margini del 55,7%.

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