Rally BTp, prezzi su fino al 26%
I rialzi maggiori sono stati registrati dai titoli a 30 e a 50 anni Dall’annuncio del Recovery plan ad aprile plusvalenza teorica di 150 mld
Edizione chiusa in redazione alle 22 il Recovery plan sta già facendo sentire i suoi effetti benefici nei portafogli degli investitori che hanno puntato sui titoli di Stato italiani. Dal 21 aprile, data del primo accordo sul maxi-piano di aiuti, i prezzi dei BTp hanno registrato aumenti a doppia cifra, con punte del 26% per le scadenze a 30 e 50 anni. La plusvalenza teorica sul debito italiano in circolazione si aggira intorno a 150 miliardi di euro. E il Tesoro ne approfitta per ridurre gli oneri del 2021. e
Non si conoscono i dettagli definitivi (importo effettivo, tempi di erogazione e progetti da finanziare) ma una cosa è certa: il Recovery plan sta già facendo sentire i suoi effetti benefici nei portafogli di quegli investitori, cittadini compresi, che negli ultimi mesi, proprio nel mezzo della crisi pandemica, hanno deciso di andare in controtendenza puntando su un’Italia in difficoltà acquistando titoli di Stato.
In linea generale ne hanno beneficiato tutti i detentori del debito pubblico, per gran parte posseduto oggi da banche e assicurazioni italiane, dalla Banca d’Italia e dalla Bce, da investitori stranieri e poi, ultima ruota del carro con una quota inferiore al 5%, dalle famiglie.
Dal 21 aprile - data del primo accordo di base a Bruxelles sullo stanziamento di fondi a sostegno degli Stati europei di cui una parte a fondo perduto - i prezzi dei BTp si sono mossi rapidamente al rialzo con conseguente discesa dei rendimenti che, come per qualsiasi obbligazione, si muovono in direzione opposta. Più nel dettaglio, chi ha comprato BTp ad almeno tre anni di scadenza - o ha mantenuto in portafoglio quelli che già possedeva - ha visto crescere il proprio investimento in media del 13%. A muoversi con più forza sono state le durate più lunghe: titoli con scadenza a otto anni si sono apprezzati del 16%, quelli a 20 anni del 18% fino al +26% delle scadenze a 30 e 50 anni.
Il movimento rialzista era già partito il 18 marzo che non a caso è un’altra data significativa dell’avventura dell’Italia nell’Eurozona: la Bce ha lanciato il Pepp, ovvero un piano di acquisto di titoli di Stato per la prima volta sganciato dal peso dei singoli Stati nel bilancio della Bce. Dopo un iniziale balzo (si veda grafico in pagina) le quotazioni però hanno perso smalto fino a che è arrivato il Recovery plan, paragonato a una sorta di Piano Marshall, a dare un’altra scossa e a rafforzare la credibilità dell’Italia anche agli occhi degli esteri.
Considerando un ammontare di titoli in circolazione di circa 2mila miliardi, a fronte di un debito che a luglio ha toccato il record di 2.560 miliardi, e considerando che i BTp a 7 anni (presi come base per questo calcolo perché la durata residua del debito è 6,8 anni) si sono apprezzati dal 21 aprile del 7,5%, è come se a livello aggregato tutti i detentori del debito pubblico italiano abbiano generato in cinque mesi una plusvalenza complessiva intorno ai 150 miliardi.
I piccoli risparmiatori
Si sa, i piccoli risparmiatori non detengono più, come accadeva tra gli anni ’80 e ’90, una grande fetta del debito pubblico. Il loro peso ammonta a circa 85 miliardi. Ma questi hanno potuto beneficiare del recupero di fiducia del Paese anche attraverso i fondi comuni di investimento e i bond bancari che negli ultimi anni hanno rappresentato, ancora più dei BTp, l’approdo tipico del risparmio degli italiani. La casistica è davvero ampia ma il risultato non cambia: gran parte delle obbligazioni emesse dalle principali banche italiane si sono apprezzate anche a doppia cifra, considerando ovviamente quelle con scadenza a medio-lungo periodo.
I grandi investitori
La plusvalenza del debito pubblico italiano si è riflessa immediatamente anche nei bilanci degli investitori istituzionali. Le banche italiane - che hanno incrementato il loro peso in BTp dai 388 miliardi di inizio anno ai 449 di fine luglio - possono dirsi soddisfatte della scelta fatta. Non potranno da subito beneficiare dell’intera plusvalenza, perlomeno nella parte di titoli contabilizzata nella voce “costo armonizzato” dove gli istituti di credito - proprio per tutelarsi dalla volatilità dello spread - possono iscrivere i BTp che hanno intenzione di portare a scadenza, neutralizzandone le oscillazioni. Viceversa, per la quota di titoli inserita in altre poste (ad esempio nel trading) la plusvalenza è già nei fatti. A titolo di esempio Intesa Sanpaolo, che detiene un controvalore di 37 miliardi di BTp di cui solo un terzo è congelato nel “costo armonizzato”, potrà per la restante parte aggiornare positivamente la contabilità.
Le banche inoltre hanno incrementato la quota di BTp grazie ai fondi arrivati dall’asta Tltro-III di giugno . Sono migliorate le condizioni. La Bce presta a -1% con l’unica condizione che gli istituti non debbano incrementare, ma semplicemente non ridurre, la quota di prestiti alle aziende non finanziarie e ai privati per credito al consumo. Le banche hanno utilizzato una parte di questi fondi per investirli in BTp.
Tra i grandi investitori ci sono i fondi stranieri che, proprio grazie alle rassicurazioni del Pepp e del Recovery plan sono tornati in Italia, considerata almeno per i prossimi tre anni più sicura proprio perché è stata sterilizzata l’ipotesi di Italexit. Tra questi ricordiamo il Gpif, il più grande fondo pensione giapponese. Recentemente ha modificato la propria policy equiparando i titoli esteri ai titoli domestici. Non a caso gli investitori nipponici sono risultati particolarmente attivi sul mercato dei BTp. Anche perché i giapponesi, grazie al differenziale dei tassi favorevole (tassi euro inferiori a quelli nipponici) ricevono al momento circa 30 punti base in più come effetto della copertura del cambio. Altro segnale che l’allievo (l’Europa) ha superato il maestro (Giappone) nella china verso i tassi bassi.