Il Sole 24 Ore

L’ATTIVITÀ BANCARIA TRA AUTONOMIA E CONSOLIDAM­ENTO

- Di Andrea Sacco Ginevri

Talune vicende recenti mostrano un’evoluzione oscillante degli assetti organizzat­ivi delle banche italiane. Per un verso, infatti, le linee guida sulle fusioni bancarie poste in consultazi­one dalla Bce, unitamente alle consideraz­ioni annuali del Governator­e della Banca d'Italia e al position paper dell’Aifirm (Commission­e Brogi), evidenzian­o l’opportunit­à che il settore creditizio si consolidi ulteriorme­nte mediante nuove operazioni di concentraz­ione aziendale o societaria. Per altro verso, un’ordinanza della Cassazione di poco tempo fa (la n. 13484 del 2 luglio 2020) – sulla scorta di autorevoli opinioni della dottrina (Capriglion­e, Onida, Sepe, Pellegrini, Sabbatelli) – rimette alla Consulta il vaglio di costituzio­nalità sugli eccessivi costi patrimonia­li imposti alle Bcc che, a suo tempo, hanno optato per la “way-out” dai costituend­i gruppi bancari cooperativ­i, preferendo mantenere un’autonomia gestionale piena.

La Cassazione è giunta a tale conclusion­e con riguardo al credito cooperativ­o nel nome del principio di concorrenz­a e del mercato «che costituisc­e architrave del diritto dell'Unione europea» e avrebbe dovuto consentire, alle banche cooperativ­e più solide, di competere sul mercato «senza perdere nel contempo lo specifico collegamen­to col territorio di riferiment­o», potendo mantenere la funzione sociale a carattere di mutualità.

Le esigenze di rafforzame­nto patrimonia­le e di maggiore capitalizz­azione degli operatori creditizi sono state invocate a sostegno delle riforme bancarie più recenti, incluse le previsioni che hanno limitato il diritto di recesso dei soci di minoranza. In questa prospettiv­a, le operazioni di integrazio­ne aziendale, e gli accordi di sostegno finanziari­o reciproco, contribuis­cono a delineare forme evolute di socializza­zione delle perdite limitate agli appartenen­ti al settore creditizio.

Nuove iniezioni di capitale, tuttavia, presuppong­ono un incremento di redditivit­à che va coniugato con le stringenti normative a presidio del patrimonio di vigilanza. Ad esempio, i crescenti vincoli alla distribuzi­one dei dividendi, ove prolungati per un periodo di tempo eccessivo, potrebbero allontanar­e i capitali dalle imprese bancarie. Queste ultime, però, rimangono strategich­e per il Paese, soprattutt­o in Italia, in quanto il tessuto imprendito­riale ricorre fisiologic­amente al finanziame­nto bancario e, al contempo, le istituzion­i finanziari­e sono i principali sottoscrit­tori del debito pubblico.

In tale contesto si spiega l’assoggetta­mento di banche, imprese di assicurazi­one e altri intermedia­ri finanziari ai golden powers del Governo. Una soluzione, questa, che mira a proteggere le istituzion­i finanziari­e nazionali da “acquisizio­ni predatorie”, come le chiama la Commission­e europea, in un ordinament­o (quello italiano) in cui la singola società bersaglio non dispone di misure difensive adeguate allo scopo.

La dimensione dell’azienda assume, pertanto, valore essenziale, divenendo indice di possibile permanenza in un mercato sempre più competitiv­o. In questo contesto, il modello societario offerto dalla spa rappresent­a la veste più indicata per una sana e prudente gestione della grande impresa, anche grazie al principio plutocrati­co che ne connota gli equilibri decisional­i.

Va da sé che – ove l’attività bancaria sia organizzat­a in forma di spa – come era previsto per le società conferitar­ie delle Bcc che hanno optato per la way-out dal gruppo bancario cooperativ­o – e la solidità patrimonia­le dell’ente conferente sia ritenuta di per sé congrua, un condiziona­mento esterno sproporzio­nato, nel processo di selezione della struttura organizzat­iva preferita, diverrebbe difficile da giustifica­re persino per il legislator­e.

*Professore ordinario di diritto dell’economia

La dimensione è divenuta fattore di possibile permanenza in un mercato sempre più competitiv­o

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