Una nuova conferenza sul destino della Libia
Quello annunciato dall’Onu rischia di essere l’ultimo vertice per il premier Serraj Erdogan, alleato di Tripoli, vuole al governo un uomo più vicino alla Turchia
Ogni volta che si parla di conferenza internazionale sulla Libia, come quella “virtuale” annunciata ieri e che prenderà il via il 5 di ottobre a Berlino, la cautela è d’obbligo. La storia delle conferenze sulla Libia è infatti costellata di fallimenti. L’ultimo grande vertice, sempre a Berlino, il 19 gennaio scorso, cui avevano partecipato decine di capi di Stato e di Governo (ma non i libici) era stata etichettata come la cronaca di un fallimento annunciato ancor prima che iniziasse.
Mentre la cancelliera Angela Merkel annunciava l’accordo di cessate il fuoco e la forte determinazione di tutti i Paesi coinvolti a rendere effettivo l’embargo sulle armi destinate in Libia, sull’altra sponda del Mediterraneo continuavano gli scontri tra i due governi libici rivali, il generale Khalifa Haftar, quasi per scherno, bloccava i terminali petroliferi del Paese. Bastarono solo poche settimane per capire che l’embargo contro le armi, era rimasto lettera morta. Così come il cessate il fuoco.
Essere prudenti sull’esito della nuova conferenza di Berlino è forse la cosa migliore. Anche se da alcune settimane qualcosa si sta davvero muovendo. Come l’accordo di cessate il fuoco siglato lo scorso mese che questa volta pare sostanzialmente tenere. Alla conferenza, virtuale, parteciperanno il segretario generale dell’Onu,i ministri degli Esteri e i rappresentanti delle parti in conflitto in Libia, e tra gli altri, quelli di Germania,Usa, Italia, Regno Unito, Francia, Cina, Turchia, Emirati Arabi, Egitto. Oltre a Unione europea, Unione Africana e Lega Araba.
Potrebbe essere l’ultimo vertice per Fayez Serraj,il premier libico del Governo di accordo nazionale (Gna), quell’esecutivo riconosciuto dalla Comunità internazionale come il solo legittimo, che da Tripoli governa sulla Libia Occidentale. La Cirenaica, ricca di idrocarburi, resta saldamente nelle mani di Haftar, il generale nemico giurato dei movimenti islamici, e non solo estremisti, sostenuto da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Russia .
Dopo le voci circolate nel weekend, Serraj martedì ha ufficializzato la sua posizione in Tv. «Dichiaro il mio desiderio sincero di cedere le mie responsabilità al prossimo Esecutivo non più tardi della fine di ottobre». Perché entro fine ottobre? Il prossimo mese dovrebbero tenersi a Ginevra gli incontri del “dialogo libico”, ovvero una serie di mini-vertici a cui parteciperanno le diverse fazioni libiche sotto l’egida dell’Onu che dovrebbero portare alla formazione di un nuovo Governo incaricato di traghettare il Paese verso le elezioni politiche e presidenziali, se tutto andrà come previsto (cosa per nulla scontata), il prossimo anno. Il nuovo Consiglio presidenziale che piacerebbe all’Onu dovrebbe avere non più sette ma tre membri provenienti dalle tre grandi regioni del Paese: Tripolitania, Cirenaica e Fezzan. Serraj intende dimettersi quando sarà trovato il suo sostituto. Non è detto che accada in tempi rapidi.
Non è certo una buona notizia per l’Italia, il Paese europeo che più degli altri lo aveva sostenuto e con cui intrattiene solide relazioni. E comunque le dimissioni di Serraj suggeriscono come la lotta per il potere all’interno del Governo di accordo nazionale si è inasprita. Serraj, già ostaggio delle milizie rivali, si è dovuto far da parte probabilmente su pressioni di qualche potenza straniera. A fine agosto vi era stata una sorta di resa dei conti tra il premier e Fathi Bashaga, il potente ministro degli Interni interlocutore privilegiato del Governo turco. In seguito alla soppressione molto violenta delle manifestazioni popolari di Tripoli contro il carovita e il Governo, Serraj aveva messo sotto inchiesta Bashagah per poi liquidarlo. Pochi giorni dopo aveva dovuto accettare il ritorno di Bashagah alla poltrona di ministro degli Interni.
Certo Serraj non è un leader carismatico. Nei momenti più difficili veniva definito dai rivali come il sindaco di Tripoli. Quando assunse l’incarico di premier, fu costretto ad arrivare nella capitale libica dal mare, con tanto di scorta (pare italiana) per stabilirsi non nel palazzo del Governo ma nella base militare navale di Abu Sitta, per ripararsi da eventuali attentati. Con il tempo aveva guadagnato consensi. Lo scorso autunno era volato ad Ankara per rafforzare la sua alleanza con la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan. Un patto che, grazie alle armi e ai soldati turchi, e a oltre mille miliziani siriani inviati da Ankara, gli ha permesso di ribaltare le sorti della guerra civile e ricacciare Haftar fino a Sirte.
Ora Erdogan potrebbe aver presentato il conto. A Tripoli probabilmente dovrà andarci un uomo più determinato, più vicino alla Turchia e alla Fratellanza musulmana. Potrebbe prevalere la fazione di Misurata, la “Sparta” della Libia, che vanta milizie molto forti e agguerrite. L’asse tra Ankara e Misurata fa capo al vice presidente Ahmed Maitig, che due giorni fa era in visita proprio in Turchia, e al ministro dell’Interno Bashagah.
Il prossimo mese sarà caldissimo. Si rischia una lotta tra le milizie assetate di potere. Se dovesse mancare un accordo potrebbe perfino riemergere il nome di Serraj.