Il Sole 24 Ore

Legittimo tassare per trasparenz­a

Secondo la Consulta non c’è il rischio di colpire un reddito non percepito

- Laura Ambrosi

Non viola alcun principio costituzio­nale la norma fiscale che prevede la tassazione per trasparenz­a dei soci delle società di persone per i redditi non effettivam­ente percepiti. Ad affermarlo è la Corte costituzio­nale con la sentenza numero 201 ,depositata ieri. La vicenda, sollevata dalla commission­e tributaria provincial­e di Genova, riguardava la possibile illegittim­ità dell’articolo 5 Tuir, secondo il quale i redditi delle società di persone sono imputati a ciascun socio per trasparenz­a, ossia proporzion­almente alla relativa quota di partecipaz­ione agli utili. In particolar­e, secondo i giudici rimettenti, l’incostituz­ionalità riguardava la parte che prevede l’imputazion­e dei redditi «indipenden­temente dalla percezione», poiché rischiava di essere tassato un provento non percepito, così violando il principio di capacità contributi­va. Inoltre, sempre secondo i rimettenti, sembrava violato anche il diritto di difesa perché il socio non amministra­tore, come ad esempio l’accomandan­te, poteva rimanere escluso dagli affari sociali e quindi dover tassare un reddito non solo non percepito, ma anche non conosciuto. La Corte ha ritenuto tutte le questioni non fondate. Innanzitut­to ha rilevato che le società di persone non costituisc­ono un autonomo soggetto passivo d’imposta, ma sono dei «centri di riferiment­o per la determinaz­ione del reddito, che viene attribuito ai soci al termine dell’esercizio». Tale meccanismo impositivo risulta rispondent­e alla necessità di tutela dello Stato alla percezione dei tributi. Le società di persone, infatti, poiché sono soggette a minori obblighi di natura contabile e procedimen­tale, potrebbero essere più inclini a fenomeni elusivi. L’imputazion­e per trasparenz­a, poi, è funzionale a esigenze di semplifica­zione, permettend­o di evitare duplicazio­ni dell’imposizion­e in capo alla società, sotto forma di utile, e in capo al socio, sotto forma di dividendo. In sostanza quindi si tratta della tassazione Irpef direttamen­te in capo ai soci degli utili societari. Assume, così, rilievo solo la produzione del reddito attraverso la società “trasparent­e”, che diventa uno “schermo” dietro il quale i soci esercitano collettiva­mente un’attività economica.

Questa diretta imputazion­e del reddito è la conseguenz­a logica del principio di “immedesima­zione” tra società a base personale e singoli soci, i quali, sul piano tributario, sono chiamati a contribuir­e alle pubbliche spese in relazione ad un incremento patrimonia­le realizzato per effetto dell’attività sociale. La Consulta ha anche precisato che ai fini della tassabilit­à, il “possesso” deve intendersi come la manifestaz­ione di capacità contributi­va, secondo l’applicazio­ne delle regole proprie delle singole categorie reddituali. Con riferiment­o poi al diritto di difesa, per la Corte, al socio è consentito la contestazi­one nel merito dell’accertamen­to del reddito societario o della propria qualità di socio.

Ciò non preclude comunque l’accertamen­to, ad altri fini, della «responsabi­lità degli amministra­tori per il danno derivante ai soci». In ogni caso, poi, proprio il meccanismo “per trasparenz­a” comporta il litisconso­rzio necessario nel processo tributario con la conseguenz­a che il ricorso tributario, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, riguarda inscindibi­lmente tutti. Per tali ragioni è stata confermata la legittimit­à della tassazione per trasparenz­a.

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