Shopping, anche il lusso entra nell’era digitale
Alta gamma. Le strategie per vendere a distanza prodotti che vivono di fisicità
Curioso destino, quello del Black Friday in Italia. Negli Stati Uniti il giorno che segue il Thanksgiving – ultimo giovedì di novembre – è festivo e dà il via allo shopping natalizio. Accade dagli anni 50, quando la tecnologia più avanzata che indossavamo erano, forse, gli orologi al quarzo. Da almeno una decina d’anni il Black Friday si è diffuso anche in Europa e la sua componente fisica si è integrata sempre di più con quella digitale, cancellando, di fatto, il Cyber Monday, il lunedì dopo il Thanksgiving. Un’altra festività creata a tavolino negli Stati Uniti quando l’e-commerce, all’inizio degli anni 2000, era ancora un fenomeno talmente di nicchia da aver bisogno di essere promosso creando, artificialmente, una giornata dedicata. Da allora le vendite online sono cresciute ininterrottamente e nell’anno del Covid hanno avuto un’accelerazione che cambierà per sempre il mix di distribuzione per ogni brand e settore (si veda anche l’articolo a pagina 15). Quello del 2020, che cade proprio oggi, andrebbe però ribattezzato Black Cyber Friday.
La via italiana al Black Friday
In Italia, si sa, siamo esterofili: il Black Friday lo abbiamo abbracciato prima e con più convinzione di molti altri Paesi fuori dagli Stati Uniti. Amiamo però aggiungere un tocco tricolore a ogni usanza che importiamo: così il Black Friday, ed è un fenomeno che precede il Covid, da noi è diventato Black Week e poi Black Month. Ne abbiamo creata persino una versione primaverile, che sarebbe impossibile spiegare a un americano. Le ulteriori mutazioni di quest’anno sono il Green Friday (per dare una connotazione sostenibile agli acquisti), il White Friday e Red Friday, per anticipare le atmosfere natalizie, si suppone, e il Giftign Friday, come se fosse necessario ricordare che è il periodo dei regali.
In attesa che il 3 dicembre i negozi riaprano anche in regioni al momento “rosse”, tutti i marchi di ogni settore e fascia hanno dovuto affidarsi al web. Impresa necessaria, ma oggettivamente più difficile per il settore dei beni di lusso personali, dove l’esperienza di shopping fisico è per definizione più importante. Primo, perché si tratta soprattutto di abbigliamento e accessori, che vanno provati, a differenza di elettronica o altro. Secondo, perché il valore dei beni di lusso personali – sia quello misurabile in denaro sia quello intrinseco – è talmente alto da richiedere un coinvolgimento emotivo, che tipicamente si può ottenere solo tra persone. La tecnologia non basta, almeno per ora.
«Le vendite vanno fatte senza contatti fisici. Durante il primo e poi il secondo lockdown non abbiamo potuto entrare in un negozio, salutare, magari pesino stringere una mano conosciuta e in alcuni casi amica – sottolinea Roberto D’Incau, fondatore della società di consulenza Lang&Partners –. Questa modalità virtuale di vendere è stata un’ancora di salvezza per tutti, marchi di alta gamma compresi, ma non possiamo più parlare di semplice e-commerce. Ogni maison del lusso ha dovuto, in pochissimo tempo, ingegnarsi per rendere l'esperienza di shopping virtuale, in sé fredda e impersonale, in qualcosa di caldo. O almeno tiepido, non anonimo».
Il caso Monte Napoleone
I due lockdown hanno avuto un impatto devastante sulla via italiana dello shopping di lusso più famosa, la milanese Monte Napoleone, che fino a gennaio scorso era anche la più frequentata dai turisti stranieri e la più ambita dalle aziende. Gli ingressi nei negozi – nelle settimane in cui avevano riaperto – sono calati fino all’80%.
«Durante il primo lockdown molte vetrine della via erano state disallestite – spiega Guglielmo Miani, presidente dell’associazione Monte Napoleone District –. In questo secondo lockdown non è successo. Anzi, chi passeggia per il quadrilatero viene colpito dallo sforzo creativo di tutti i marchi. Le vetrine servono anche a pubblicizzare i servizi di vendita da remoto. La definizione e-commerce ormai è riduttiva – precisa Miani –. I clienti vengono chiamati, possono fare shopping tour virtuali grazie ai programmi che ci siamo abituati a usare anche per lavorare, come Teams o Zoom. Dal click and collect si è passati al call and collect: almeno ci si parla. Alcuni brand mandano a casa più capi da provare, con sanificazione assicurata e consegne contactless, e per chi vuole spedire in Italia o in qualsiasi altra parte del mondo, assicurano servizi di corriere personalizzati. Abbiamo fatto di necessità virtù, ma l’alta gamma ha bisogno dell’esperienza fisica».
Miani ha sempre fatto presente al Governo che le boutique del lusso non sono mai – per loro natura – prese d’assalto: il distanziamento avviene in modo quasi naturale. «Non siamo stati ascoltati e ora spero almeno che davvero il 3 dicembre si possa riaprire. Come associazione, stiamo pensando a iniziative speciali per incentivare lo shopping in orari meno affollati, dalle 10 alle 13, ad esempio. L'accelerazione imposta dal Covid alla digitalizzazione di molti servizi non è un male, anzi. Ma credo che tutti abbiamo voglia di tornare al rito dello shopping fisico: uscire di casa per andare in un negozio, senza necessariamente uscire carichi di pacchi, è un aspetto della socialità che non possiamo pensare di eliminare». Come dire: lo smart working è qui per restare. Per lo shopping, invece, l’acquisto sarà, forse, sempre più da remoto, ma l'esperienza fisica che porta a quell’acquisto, deve tornare a essere fisica. O meglio: umana.