Manovra rapida, ma con le garanzie dettate dalla Consulta
La compressione dei tempi dovrà tenere conto delle due più recenti pronunce della Corte costituzionale Il principio base è garantire ai parlamentari la facoltà di «collaborare cognita causa alla formazione del testo»
La sostanziale compressione dell'esame della manovra che sta per determinarsi in Parlamento a causa del continuo aggiornamento di dati e misure per effetto della nuova impennata dei contagi, non è un unicum nella recente cronaca politica. Tuttavia questa volta il “doppio binario” ( legge di Bilancio alla Camera, decreti Ristori al Senato da approvare di fatto in poche settimane), che Sabino Cassese assimila a una sorta di “monocameralismo alternato”, non potrà che muoversi nel solco delle due più recenti deliberazioni della Consulta in materia.
Nel dichiarare inammissibili i ricorsi presentati da 37 senatori dell'opposizione di allora al governo Conte1, che contestavano l'iter di approvazione della legge di Bilancio, la Corte Costituzionale ha ribadito con ordinanza dell' 8 febbraio 2019 un principio- base: occorre garantire a tutti i parlamentari la facoltà di « collaborare cognita causa alla formazione del testo » , contribuendo « alla formazione della volontà legislativa » .
Quanto alla prassi ormai consolidata del ricorso a uno o più maxi- emendamenti su cui viene apposta la questione di fiducia, pur non ravvisando in quell'occasione un « abuso del procedimento legislativo » tale da determinare « violazioni manifeste » delle prerogative dei parlamentari, la Corte ha avvertito: « In altre situazioni una simile compressione della funzione costituzionale dei parlamentari potrebbe portare a esiti differenti » . Nel mirino dei parlamentari dell'opposizione ( ora maggioranza) era finito un passaggio decisivo dell'iter di approvazione della manovra.
Dopo il lungo braccio di ferro con la Commissione europea, per scongiurare il rischio concreto della procedura d'infrazione per disavanzo eccessivo determinata dalla violazione della regola del debito, il governo Conte1 aveva modificato in corso d'opera i saldi della manovra con il deficit che dall'iniziale 2,4% era sceso al 2%. Il testo della legge di Bilancio venne dunque sottoposto all'approvazione del Senato che licenziò il testo il 19 dicembre 2018 in una formulazione rivista radicalmente rispetto al testo varato in prima lettura della Camera l' 8 dicembre. Ai deputati non restò altra scelta che approvare a scatola chiusa il 30 dicembre il testo attraverso il rituale voto di fiducia.
L'anno successivo la questione si è riproposta a parti invertite. Questa volta è stata l'attuale opposizione a contestare la compressione dei tempi di discussione e le modalità di approvazione della legge di Bilancio. Il 26 febbraio 2020 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi, non essendo emerse “gravi e manifeste violazioni” delle prerogative parlamentari. Nel dispositivo si segnala che il pur ridotto lasso di tempo ha consentito una fase di esame in Commissione Bilancio, tanto che i deputati hanno presentato 1.130 emendamenti, e in aula ne sono stati presentati 800. Nessun vulnus delle attribuzioni dei parlamentari “grave e manifesto”.
Il problema per Governo e maggioranza, alla luce delle due ordinanze della Consulta, è ora di garantire che la sessione di bilancio ( ancorché di fatto concentrata solo alla Camera) rispetti sia in Commissione che in aula il diritto- dovere dei parlamentari a un esame approfondito. Certo la straordinarietà della situazione è evidente a tutti.
Lo slalom tra l’esiguità dei tempi a disposizione e la necessità di aggiornare in tempo reale, e con tale frequenza, saldi e misure, questo sì è un unicum e sarebbe tale da motivare quella fattiva collaborazione istituzionale tra maggioranza e opposizione più volte sollecitata dal Quirinale. La Consulta di certo – qualora fosse chiamata nuovamente in causa - non avrebbe da eccepire.