Il Sole 24 Ore

Test, medici di famiglia e Usca Cure a casa ancora in ritardo

Solo il 38% dei medici è disponibil­e a fare i tamponi rapidi. Diverse Regioni non hanno attivato tutte le Unità speciali per l’assistenza domiciliar­e. Manca anche il protocollo per i farmaci

- Marzio Bartoloni

Ieri c’erano 757mila italiani a casa con il Covid e per molti di loro l’assistenza è ancora un miraggio. A quasi un anno dallo scoppio della pandemia resta questa la vera spina nel fianco nella lotta al virus come dimostra un monitoragg­io effettuato su tutte le Regioni, perché come ha ricordato nei giorni scorsi la Corte dei Conti «nella gestione dell’emergenza la grande assente è stata la medicina del territorio, che avrebbe dovuto impedire il collasso degli ospedali».

A esempio a 8 mesi dalla norma che ne prevede una ogni 50mila abitanti, non ci sono ancora tutte le Usca necessarie. Il totale nazionale di queste Unità speciali composte da medici e infermieri che devono bussare a domicilio dei positivi sono 1.286, poco sopra la soglia minima prevista per legge (1.204). Ma diverse Regioni ne hanno attivate meno di quelle stabilite: come la Puglia che ne ha 50 (invece che 80) anche se presto diventeran­no 55 o il Veneto con 51 (invece che 98) mentre nel Lazio se ne contano addirittur­a 250, ma si tratta di piccoli team composti solo da un medico e un infermiere. Non c’è poi traccia ancora del vademecum sulle terapie da usare a casa - dall’aspirina al cortisone fino al saturimetr­o per misurare il livello di ossigeno - che il Governo aveva annunciato un paio di settimane fa. La bozza di questo protocollo per le cure domiciliar­i che deve diventare una circolare è stato condivisa con i medici di famiglia che hanno chiesto alcune correzioni e per ora è ancora nei cassetti. E sempre dai medici di famiglia viene tutt’altro che una adesione di massa alla chiamata alle armi del Governo per fare i tamponi rapidi ai loro pazienti. Dopo un sofferto accordo chiuso a fine ottobre, contestato da un terzo delle sigle sindacali contrarie a effettuare i test a studio perché giudicati troppo rischiosi, meno della metà dei 40mila medici di famiglia italiani - circa il 38% - ha dato finora la sua disponibil­ità a fare i test antigenici nonostante un accordo nazionale collettivo che li impegna e che prevede anche un compenso per ogni tampone effettuato (da 12 ai 18 euro l’uno). Si va così dal 100% dei medici di famiglia della Valle d’Aosta all’8% di quelli delle Marche (per ora hanno ritirato il kit in 111) fino al 25% della Lombardia dove alla campagna sui test antigenici hanno aderito 1.812 dottori, ma molti lamentano di non avere lo spazio adeguato nei loro studi per fare i tamponi (vanno in particolar­e garantiti percorsi distinti per i sospetti Covid e molti locali si trovano nei condomini e dunque non si prestano). E così a rallentare l’avvio dei test rapidi dal medico di famiglia c’è il fatto che molte Asl ancora non hanno messo a disposizio­ne dei locali adatti. Senza contare che diverse Regioni (Puglia, Basilicata, Molise, Friuli e Abruzzo) hanno siglato solo da poco gli accordi locali per cui bisognerà ancora attendere per una vera partenza. A questo si aggiunge anche il Tar del Lazio che nei giorni scorsi ha dato ragione ad alcune sigle dei medici di famiglia stabilendo che tra i loro compiti non rientra quella di fare visita a casa dei malati di Covid. Una «assurdità» contro la quale il Lazio ha deciso di fare ricorso al Consiglio di Stato con l’appoggio delle altre Regioni. Mentre crescono le voci, anche all’interno della maggioranz­a, che puntano il dito contro la categoria dei medici di base e qualcuno avanza anche l’idea di rimettere in discussion­e la convenzion­e che li lega al Ssn per trasformar­li in futuro in dipendenti.

I team di medici e infermieri che curano a casa sono 1286, ma sono ancora diffusi a macchia di leopardo

A rallentare i test rapidi dal medico di famiglia il fatto che molte Asl ancora non hanno messo a disposizio­ne dei locali adatti

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Domenico Arcuri. « Abbiamo richiesto 150 milioni di strumenti tra aghi e siringhe per somministr­are i vaccini, sarà la svolta per battere il virus» ha chiarito ieri il Commissari­o per l’emergenza Covid ammettendo: «i risultati dell'App Immuni sotto le aspettativ­e aspettativ­e» »

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