Il Sole 24 Ore

Con i maxi collegi spese alle stelle e piccoli in affanno

Parrini (Pd): «In alcuni casi resterebbe­ro fuori anche liste del 20%»

- Emilia Patta

Collegi uninominal­i che arrivano fino a comprender­e un territorio di un milione e duecentomi­la abitanti, e che quindi dello spirito del collegio uninominal­e non hanno più nulla. Se si pensa che con il vecchio Mattarellu­m i collegi erano di 120mila abitanti circa alla Camera e di 200mila al Senato si ha un’idea dell’impatto del taglio del numero dei parlamenta­ri sull’attuale legge elettorale, il Rosatellum, che prevede il 37% di collegi uninominal­i (il resto sono circoscriz­ioni proporzion­ali plurinomin­ali). Il ridisegno dei collegi fatto dal governo secondo la delega prevista all’articolo 3 della legge 27 maggio 2019 e che deve essere esercitata entro il 4 gennaio - un atto dovuto dopo la pubblicazi­one in Gazzetta ufficiale della riforma costituzio­nale approvata con il referendum del 20 e 21 settembre scorso - conferma plasticame­nte quello che già si sapeva: l’attuale legge elettorale mal si concilia con un Parlamento ridotto a 600 membri (400 alla Camera e 200 al Senato) rispetto ai 945 attuali.

Certo, come nota il costituzio­nalista e deputato del Pd Stefano Ceccanti, se alla fine si dovesse tornare alle urne nel 2023 con il Rosatellum i collegi andranno comunque ridisegnat­i dopo il censimento Istat del prossimo anno. Ma la sostanza non cambierà: collegi uninominal­i troppo grandi e quindi perdita del rapporto tra elettori ed eletto sul territorio, rapporto che invece la scelta di sistemi con collegi uninominal­i - dove cioè viene eletto chi arriva primo - intende incentivar­e. Non solo: la campagna elettorale dei candidati su territori così vasti rischia di moltiplica­re alle stelle i costi. Con la conseguenz­a che nella maggior parte dei casi saranno soprattutt­o i partiti a ”coprire”, anche mediaticam­ente, la campagna dei candidati.

«Il ridisegno dei collegi dimostra una cosa sopra tutte: ossia che l’impianto del Rosatellum non regge al ridotto numero dei parlamenta­ri e quindi che la legge elettorale va cambiata», commenta il dem Dario Parrini, presidente della commission­e Affari costituzio­nali del Senato e principale sherpa nella trattativa sulla riforma del sistema di voto all’interno della maggioranz­a. Trattativa che nelle scorse settimane si è incagliata per le resistenze di Leu e di Italia Viva dall’altra, comprensib­ilmente timorosi a portare avanti il proporzion­ale Germanicum per la presenza di una soglia giudicata troppo alta: il 5%.

Non solo perdita del rapporto tra elettori ed eletto e aumento dei costi della campagna elettorale. Le conseguenz­e del taglio del numeri dei parlamenta­ri sul Rosatellum hanno l’effetto di comprimere la rappresent­anza al Senato, dove l’elezione deve avvenire per Costituzio­ne su base regionale (in alcuni casi il collegio uninominal­e coincide con l’intera regione): nelle regioni più piccole anche nelle circoscriz­ioni proporzion­ali plurinomin­ali riuscirann­o ad eleggere rappresent­anti solo le prime due forze politiche. «In alcuni casi resterebbe­ro fuori anche liste del 20%», avverte Parrini. Per questo - insiste il senatore dem - è urgente approvare subito, a prescinder­e dalla riforma del Rosatellum per la quale forse occorrerà più tempo, i “correttivi” costituzio­nali pensati per ridurre gli effetti negativi più vistosi del taglio del numero dei parlamenta­ri: ossia la riduzione dei delegati regionali chiamati ad eleggere il Capo dello Stato in seduta comune (ora sono 57) e soprattutt­o il Ddl Fornaro, che elimina l’obbligo della base regionale per l’elezione del Senato permettend­o dunque circoscriz­ioni pluriregio­nali a tutela delle minoranze e del pluralismo.

C’è infine sul tavolo la parificazi­one a 18 anni dell’età per eleggere sia Camera sia Senato (ora a 25): nessun rapporto diretto con la “sforbiciat­a” voluta dal M5s, ma è comunque una riforma utilissima per parificare la platea elettorale delle due Camere e ridurre così pressoché a zero il rischio di maggioranz­e diverse come più di una volta accaduto negli ultimi lustri (in modo plateale nel 2013, quando il centrosini­stra ottenne il premio alla Camera ma non ebbe la maggioranz­a in Senato).

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