Il Sole 24 Ore

Derivati, aperto il caso Regione Sicilia: chiesta la nullità di cinque contratti

L’Amministra­zione avvia l’azione civile su coperture totali per 1 miliardo A maggio la Cassazione ha aperto la strada alle rivendicaz­ioni degli enti

- Nino Amadore

È una partita sul filo del diritto quella che si sta giocando tra Palermo e Londra e che ruota attorno ai contratti di derivati firmati dalla Regione siciliana con alcune banche. Alla luce della sentenza delle Sezioni riunite della Corte di Cassazione sul caso del Comune di Cattolica, l’assessore regionale all’Economia della Regione siciliana Gaetano Armao ha deciso di avviare l’azione in sede civile contro Nomura, Bnl, Bank of America, Deutsche Bank: «Noi pensiamo che quei contratti siano nulli - dice Armao - Il che cambia completame­nte tutto».

La Regione, rappresent­ata dall’avvocato dello Stato Marcello Pollara chiede la nullità o l’annullamen­to di cinque contratti di swap: vennero firmati all’inizio degli anni Duemila, a copertura di mutui, per un valore nozionale iniziale di circa 1 miliardo di euro, con perdite stimate di oltre 300 milioni. Contratti che la Regione siciliana ha a suo tempo deciso di sottoscriv­ere per mitigare i rischi finanziari connessi a tre mutui ventennali a tasso variabile stipulati con Cdp e nel contempo ricavarne liquidità da utilizzare spesso per spese correnti. Per l’assessore all’Economia, i contratti in questione «altro non sono che (ulteriori) contratti di mutuo travestiti da swap». «È un genere di derivati, proposti in passato da diversi istituti finanziari prevalente­mente alle pubbliche amministra­zioni, definiti “esotici” in quanto resi particolar­mente complessi con l’inseriment­o di opzioni, talvolta anche digitali. Ciò ha reso estremamen­te difficile stabilirne il vero costo, che spesso è risultato fuori mercato e occultato alla Pubblica amministra­zione - dice Damiano Colnago, palermitan­o, esperto di derivati e finanza strutturat­a, managing partner della società Seda Experts con sede a New York - . Un altro aspetto caratteris­tico di questi derivati riguarda il pagamento da parte delle istituzion­i finanziari­e di un upfront, che inserito nella struttura del derivato è equiparabi­le a un indebitame­nto».

Nel frattempo i gruppi bancari interessat­i si sono costituiti a Londra sulla base del principio che ogni contratto indica come foro competente in caso di controvers­ie quello della capitale britannica. La questione non è di poco conto visto che per la giurisdizi­one italiana la pronuncia della Cassazione ha un certo valore ma lo ha anche per i giudici londinesi i quali, nel caso si trovassero a decidere sulla questione, dovrebbero secondo pareri qualificat­i decidere se l’ente avesse il potere di sottoscriv­ere i contratti o meno.

E la sentenza della Corte di Cassazione ha di fatto certificat­o che i contratti che prevedevan­o indebitame­nto tramite upfront dovevano essere stipulati dopo l’approvazio­ne delle ripettive assemblee e dunque nel caso della Regione siciliana dell’Assemblea regionale. Per la giurisdizi­one inglese la sentenza della Cassazione italiana sarebbe un precedente di massimo livello. L’assessore all’Economia della regione siciliana è convinto «che in quei contratti vi sia un vizio “a monte”. Ne consegue che la clausola contenuta in un contratto giuridicam­ente mai venuto in essere non può radicare la proroga convenzion­ale della giurisdizi­one in favore di un giudice straniero». Ieri Filippo Marasà, giudice della V sezione civile (specializz­ata in materia di imprese) del Tribunale di Palermo, chiamato tra le altre cose a pronunciar­si in via cautelare sulla sospension­e del pagamento da parte della Regione di una tranche di 22 milioni in scadenza a dicembre e anche sulla competenza, non ha preso alcuna decisione. L’eventuale giudizio del Tribunale palermitan­o potrebbe anche avere conseguenz­e sulle procedure che gli enti possono assumere per chiudere i contratti. A fine ottobre, però, il Comune di Messina ha firmato col gruppo francobelg­a Dexia una transazion­e per la chiusura anticipata di un derivato, con scadenza 2036, che costerà ai contribuen­ti circa 13 milioni: 4 milioni già corrispost­i dal Comune, altri 8,6 milioni saranno versati per la chiusura del contratto. Intesa, avallata dall’ufficio legale del Comune, che non tiene conto della recente sentenza della Cassazione. L’accordo, si legge nella delibera del Consiglio comunale, fa decadere i contenzios­i in essere e considera validi e legittimi i contratti swap firmati a suo tempo.

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