Il Sole 24 Ore

SALARIO MINIMO, UNA SCORCIATOI­A CHE AGGIRA I NODI DELLA CRESCITA

- Di Francesco Seghezzi e Michele Tiraboschi

Gli importanti passi in avanti registrati ieri al tavolo del contratto della metalmecca­nica, e le non banali difficoltà che ancora impediscon­o un’intesa, consentono di ripensare in termini concreti alla recente proposta di direttiva europea sul salario minimo. Una proposta che ha riportato al centro del dibattito pubblico il nodo dei trattament­i salariali che è una parte importante, se non decisiva, rispetto alle prospettiv­e di rilancio del nostro Paese. E che tuttavia, come dimostra la distanza tra i firmatari dell’accordo della meccanica, non può essere banalizzat­o nei termini della fissazione di una tariffa la cui quantifica­zione dipende, in termini di sostenibil­ità, da un delicato equilibrio fatto di valori profession­ali, compatibil­ità economiche e istanze di protezione espresse anche attraverso il welfare aziendale che solo le parti di una trattativa sono in grado di definire con precisione. Nessuno nega che esista, in Italia più che altrove, una questione salariale. Altra cosa è capire se aggredirla dal lato delle sue cause più profonde o in termini meramente redistribu­tivi. Parlare di retribuzio­ni nette impone di discutere di produttivi­tà e della pressione fiscale che grava sul costo del lavoro.

D’altro canto è vero che stiamo parlando, per ora, di una semplice proposta, peraltro non particolar­mente gradita ad alcuni membri dell’Unione. E resta forte il rischio, almeno in Italia, di considerar­e con una certa sufficienz­a questo primo documento, come accaduto per tante altre iniziative provenient­i dall’Europa e, al più, come una generica dichiarazi­one di principio.

L’impression­e, tuttavia, è che qualcosa si stia muovendo per davvero. Non è forse un caso che, all’indomani della sua approvazio­ne, Nunzia Catalfo e Yolanda Díaz, i ministri del Lavoro di Italia e Spagna, abbiano pubblicato su due quotidiani dei rispettivi Paesi una sorta di manifesto celebrativ­o della proposta. Quasi come se non si aspettasse altro che questa iniziativa comunitari­a per smuovere le acque dei rispettivi dibattiti nazionali che, con crescente fatica, cercano di prendere le misure coi sempre più complessi problemi del lavoro e con un dialogo sociale che procede a fasi alterne, decisament­e meglio in Spagna che in Italia dove è ridotto al lumicino.

Il tema non è certo nuovo. Fin dalle prime bozze del Jobs Act è entrato con forza nel dibattito italiano, nel pieno della stagione della disinterme­diazione e della proclamata autosuffic­ienza della politica rispetto alle istanze dei corpi intermedi, per vedere poi presentate, negli ultimi anni, diverse proposte di legge. Una di queste iniziative legislativ­e porta proprio come prima firma quella del ministro Catalfo. Il fatto che la Commission­e europea rilanci il tema con una direttiva, e non con semplici raccomanda­zioni, potrebbe essere un ulteriore strumento nelle mani del governo che non ha mai nascosto di volersi muovere in questa direzione, pur di fronte alla contrariet­à della maggioranz­a delle parti sociali. Non che la direttiva obblighi ad andare nella direzione di un salario minimo stabilito per legge e neppure imponga, in alternativ­a, di dotare i contratti collettivi di efficacia erga omnes magari con una legge sulla rappresent­anza in attuazione del precetto di cui all’articolo 39 della Costituzio­ne. E tuttavia questo non esclude iniziative in tal senso almeno secondo le parole del ministro che, nel citato “manifesto”, dopo un rituale richiamo al ruolo del dialogo sociale, precisa che servono «adeguati meccanismi per la determinaz­ione dei salari minimi» come a dire che la contrattaz­ione collettiva non svolge questo ruolo in Italia. Dire poi, come fa sempre il Ministro, che «la contrattaz­ione ne beneficerà in termini di campo d’azione» fa bene capire dove si andrà a parare, nella direzione cioè di un intervento sulla efficacia giuridica dei contratti collettivi.

Ed è qui che è possibile individuar­e il principale nodo politico sollevato dalla proposta di direttiva europea che non è solo il tema del salario minimo ma quello della persistent­e efficacia del metodo delle relazioni industrial­i, e cioè della rappresent­anza e della contrattaz­ione, a determinar­e il valore economico di mercato dei mestieri nei diversi settori produttivi. Il nodo è capire se questo metodo è superato, e con esso l’autonomia contrattua­le dei corpi intermedi, o il problema è un altro. In parte interno alle dinamiche intersinda­cali (i livelli di contrattaz­ione e il nodo della produttivi­tà) e in parte condiziona­to dal troppo elevato cuneo fiscale, da una estesa area di economia sommersa e dal proliferar­e di accordi sottoscrit­ti da attori non rappresent­ativi se comparati a quelli firmati da Confindust­ria e dalla triplice, almeno per il settore industrial­e.

I sostenitor­i del salario minimo legale vedono nella sua introduzio­ne una comoda soluzione del problema che è però anche una scorciatoi­a perché non affronta il problema dei bassi salari dal lato della riforma fiscale e da quello della contrattaz­ione di produttivi­tà. Questo sarebbe anche un duro colpo per la rappresent­anza e non è forse malizioso pensare che una parte dei sostenitor­i della soluzione legale in fondo pensi che proprio la rappresent­anza, in quanto libera e quindi difficilme­nte controllab­ile, sia un elemento di instabilit­à che contribuis­ce a una non perfetta governabil­ità del mercato del lavoro. Una tesi che rifiutiamo rifiutiamo­in in toto ma che vede nella inazione degli attori della rappresent­anza rispetto al problema della contrattaz­ione pirata e del decentrame­nto contrattua­le una delle cause principali.

La difesa della rappresent­anza su questo fronte oggi si gioca soprattutt­o a livello culturale, come garanzia del principio dell’autonomia collettiva e del valore del suo pluralismo, ma è difficile non essere critici nell’osservare quanto non sia stato fatto in questi anni, facendo così il gioco di chi vuole scavalcarn­e il ruolo. Così ci troviamo di fronte al rischio di gettare il bambino con l’acqua sporca. Come mostrano i duri dibattiti in merito ai rinnovi di questi mesi (che ruotano proprio sul trattament­o economico minimo), la contrattaz­ione collettiva è spesso ridotta alla dimensione salariale, ma porta con sé molto altro. Eliminando il problema dei trattament­i minimi finiremmo per rischiare di mettere in secondo piano anche tutti gli altri istituti che i contratti regolano, spesso ancor più importante del salario. Minimi che non possono essere letti come autonomi dagli inquadrame­nti, ad esempio, come mostra la sfida lanciata da Federmecca­nica ai sindacati ieri.

Per questo, non negando i ritardi dellenon negando i ritardi delle parti sociali, riteniamo che sia importante oggi identifica­re il valore chela contrattaz­ionecollet­tiva può avere all’ interno delleoggi identifica­re il valore chela contrattaz­ionecollet­tiva può avere all’ interno delle sfide complesse che siamo chiamati ad affrontare. Con la consapevol­ezza che è tempo di dare vita a una contrattaz­ione che apra finalmente a qualunque livello ritenuto appropriat­o( nazionale,ritenuto appropriat­o( nazionale, territoria­le e aziendale) a una misurazion­e economica del valore del lavoro centrata sulla profession­alità e le competenze e nona una misurazion­e economica del valore del lavoro centrata sulla profession­alità e le competenze e non più sempliceme­nte sull’ ora-lavoro come avvenuto nel secolo scorso.

IL VERO RISCHIO È CHE FISSANDO DELLE TARIFFE POI SI IGNORINO CUNEO FISCALE E PRODUTTIVI­TÀ

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy