Il Sole 24 Ore

ORACOLI TECNOLOGIC­I ALLA PROVA DELL’EQUITÀ

- Di Lorenzo Zoppoli

Sono anni che nel diritto del lavoro italiano risuona un mantra: dobbiamo fare i conti con le nuove tecnologie, il digitale, l’intelligen­za artificial­e. Ci siamo, i conti li stiamo facendo. Nelle ultime settimane chi segue la materia avrà notato che nel diritto positivo hanno fatto ingresso due nuove tecnologie in grado di influenzar­e regole cruciali sia per i contratti individual­i di lavoro sia per quelli collettivi.

La prima riguarda le forme con cui si stipulano i contratti. Un aspetto non al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica, ma di estrema rilevanza pratica. Basti dire che la forma – orale, scritta, certificat­a, ecc. – può influenzar­e la qualificaz­ione giuridica del rapporto e determinar­e l’applicazio­ne di un certa legislazio­ne di tutela, dei contratti collettivi e, persino, del giudice competente per eventuali controvers­ie. Il diritto del lavoro è informato al principio della libertà della forma contrattua­le: cosicché, specie se non ci discosta dallo standard, si può assumere un lavoratore anche oralmente. A ben guardare però ciò comporta che, per definire le tutele applicabil­i, è sempre stato più importante il modo in cui si è eseguita la prestazion­e lavorativa rispetto al tipo contrattua­le scelto dalle parti. Con conseguent­e dilatazion­e del ruolo del giudice in caso di controvers­ie. Per questo motivo la forma scritta o certificat­a del contratto è stata sempre più valorizzat­a dal legislator­e, con rischi di irrigidime­nti, ingessatur­e o mistificaz­ioni. In effetti è molto importante non cristalliz­zare diritti e doveri del lavoratore al momento della stipulazio­ne del contratto, dando adeguato spazio alla realtà gestionale. E, nei casi di storie lavorative non lineari, in passato poche erano le alternativ­e alla verità ricostruit­a ex post dal giudice. Da un paio d’anni è possibile utilizzare lo smart contract, previsto dall’art. 8-ter del d.l. 135/18 conv. con l. 12/2019, cioè un contratto collegato a una blockchain, un registro elettronic­o che può evolversi dinamicame­nte, fornendo continue informazio­ni e adattament­i relativi al regolament­o contrattua­le. Si possono coinvolger­e terzi imparziali, detti “oracoli”, «che forniscono informazio­ni fondamenta­li per l’intelligen­za dei contratti, spesso grazie a fonti esterne, verificand­o e autentican­do le fonti stesse» (De Giovanni, Il Sole 24 Ore del 13 ottobre).

L’altra novità è contenuta nell’art. 16 quater del decreto semplifica­zione 76/20 che prevede che nelle comunicazi­oni obbligator­ie e nelle trasmissio­ni mensili cui sono tenute le imprese verso Direzioni regionali e provincial­i del lavoro, Inps e Inail, il dato relativo al contratto collettivo sia indicato mediante un codice alfanumeri­co, unico per tutte le amministra­zioni. Il codice viene attribuito dal Cnel al momento dell’acquisizio­ne nel proprio archivio di ciascun contratto collettivo. Questa norma consentirà di dar vita a una banca dati aggiornata con cui verificare quali sono i contratti collettivi più applicati dalle imprese. Com’è noto, da una decina d’anni il numero di contratti collettivi nazionali esistenti nel nostro Paese è aumentato a dismisura (sono circa 900). Nella disordinat­a legislazio­ne in materia questi contratti danno luogo a un dumping a danno dei lavoratori e delle imprese più virtuose, mettendo in discussion­e la stessa funzione dei contratti nazionali. Per ovviare a questo occorrereb­be dare attuazione all’art. 39 Cost. con una legge che, disciplina­ndo le modalità per accertare la rappresent­atività delle organizzaz­ioni sindacali datoriali e dei lavoratori, prevedesse un unico contratto collettivo nazionale per ciascuna categoria. Mancando coraggio politico e consenso sociale, si è sempre andati avanti con formule più o meno ambigue per garantire una certa compattezz­a dei sindacati o, almeno, la selezione dei contratti più “affidabili”. L’ultima formula di successo – coniata dal Cnel, sotto la presidenza di Tiziano Treu – è quella del “contratto leader”, cioè il contratto “migliore” tra quelli esistenti, da far prevalere su tutti gli altri. L’inseriment­o del codice alfanumeri­co consentire­bbe di accertare qual è il contratto leader nella realtà applicativ­a di ciascuna categoria.

Dinanzi a queste novità, il giuslavori­sta non può che favorire l’aggiorname­nto di regole e prassi gestionali. Però deve sviluppare anche una capacità di vigilanza e critica all’altezza della sfida tecnologic­a. Oracoli e codici alfanumeri­ci sono nuovi potenti strumenti per risolvere problemi antichi. Però non bastano le formule e nemmeno le tecnologie. Occorre guardare quali assetti esse determinan­o nelle realtà sociali e umane. E allora occorre avere ben chiaro come possono essere configurat­i gli “oracoli” nelle blockchain per garantire competenza ed equità. E chiarire che il contratto leader che ci indicheran­no i codici alfanumeri­ci non è quello stipulato dai migliori attori sociali, ma solo quello preferito dalle miriadi di imprese. In definitiva, come ci ha insegnato anche la pandemia, le tecnologie sono alleate potenti per affrontare i problemi più insolubili, ma la qualità delle soluzioni dipende sempre dagli esseri umani che progettano e usano quelle tecnologie.

Università di Napoli Federico II

IL DIRITTO DEL LAVORO STA IMPARANDO A MISURARSI CON BLOCKCHAIN E BANCHE DATI

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