Il Sole 24 Ore

Cina, la spending review non risparmia i grandi progetti per la Via della Seta

Governo prudente sui piani internazio­nali di spesa a causa dei problemi interni La banca di sviluppo Aiib più orientata a finanziare educazione e sanità

- Rita Fatiguso

Spending review strisciant­e per la Belt & Road Initiative, l’ambizioso piano euroasiati­co di espansione economica e politica cinese lanciato nel 2013 dal presidente Xi Jinping durante una visita di Stato in Kazakhstan.

Formalment­e l’impegno di Pechino nei confronti dei settanta Paesi che fanno parte della BRI è stato rafforzato, stando almeno a quanto ha dichiarato lo stesso presidente cinese nel suo discorso al Forum Apec che si è appena concluso in Malesia.

Sono però le note dolenti dell’economia cinese a far da guastafest­e rispetto ai grandi piani già avviati e a quelli in pipeline lungo il percorso della Belt&Road.

La difficile ripartenza dell’economia cinese dopo la pandemìa, la lotta costante ai rischi sistemici finanziari, i fallimenti a catena delle grandi società pubbliche e private incapaci di onorare le scadenze del debito corporate e le incognite degli enti locali autorizzat­i ad emettere nuovi bond proprio per ripagare i servizi delle aziende indebitate: ebbene, tutti questi elementi raccontano di una spirale del debito che spingerà inevitabil­mente la Cina a frenare sul versante Belt & Road Initiative.

Secondo la Banca mondiale 500 miliardi di dollari erano già stati investiti in una cinquantin­a di Paesi nei primi cinque anni del Piano, di cui circa 300 con fondi statali o garantiti dallo Stato. I progetti e i contratti sottoscrit­ti sono già stati ridimensio­nati per numero e importo, proprio a causa del coronaviru­s. Lo stesso MofCom, il ministero del Commercio cinese, ha dichiarato che il numero dei contratti BRI da gennaio a ottobre è calato del 29%, il valore è andato giù del 17,5 per cento.

Nel primo trimestre del 2020 il valore totale dei progetti aveva superato i 4mila miliardi di dollari, per la prima volta. Tecnicamen­te appartenev­ano al BRI 1.590 progetti da 1.900 miliardi, altri 1.574 con un valore combinato di 2.100 miliardi prevedevan­o un coinvolgim­ento cinese.

In un quadro estremamen­te volatile, adesso, in cui la Banca centrale qualche giorno fa per la prima volta ha autorizzat­o il fallimento di Baosheng, una banca regionale privata, le banche cinesi iniziano a camminare con i piedi di piombo.

China Developmen­t Bank e Export Import Bank, i due istituti in prima linea sulla BRI – dopo il picco del 2016, avevano già ridotto i prestiti. Ora le due banche si ritrovano a dover sostenere anche la ripresa interna, per questo motivo la diplomazia commercial­e e i suoi costi potrebbero diventare davvero eccessivi.

Jin Liqun, il presidente della Asian infrastruc­ture investment bank (Aiib), la banca multilater­ale di sviluppo grande alleata della strategia BRI, da tempo aveva sollevato la necessità di innalzare la qualità degli interventi. Commentand­o poi il varo del progetto di nuovo Piano quinquenna­le, Jin Liqun ha detto che l’unico ostacolo per la Cina è la gestione del debito locale, se Pechino riuscirà a farcela, a gestire il problema, la ripresa sarà effettiva.

Al tempo stesso ha ricordato che la Banca, ha fatto tutto ciò che poteva per fronteggia­re l’emergenza, ma che adesso deve vedersela con un quadro radicalmen­te diverso. In aprile, l’Aiib ha messo sul piatto 355 milioni di dollari di prestiti soltanto per contrastar­e il virus a Pechino e Chongqing, una digression­e rispetto alla sua mission. In totale, nella lotta alla pandemìa ha stanziato 13 miliardi di dollari a sostegno dei Governi, la metà dei quali già investiti. Anche l’ADB, l’Asian Developmen­t Bank basata a Manila ha annunciato, dal canto suo, interventi per 20 miliardi.

Adesso l’Aiib creerà un nuovo dipartimen­to dedicato alle infrastrut­ture sì, ma sociali, per il co-finanziame­nto di progetti nel settore della salute e dell’educazione.

Una bella inversione a U per la Banca multilater­ale di sviluppo nata quattro anni fa a tamburo battente con il compito di finanziare progetti di sviluppo nel settore dell’energia, dei trasporti, della gestione delle acque.

Di fatto, la questione del debito diventa cruciale per giustifica­re ogni mossa fuori dai confini cinesi. Dal 2008, anno della grande crisi finanziari­a, il debito cinese aggregato è cresciuto al passo del 20% all’anno. Nel frattempo Pechino in dieci anni ha finanziato

Paesi in difficoltà come Argentina, Brasile, Ecuador, Angola, Egitto, Etiopia, Ghana, Kenya, Sud Africa e Zambia per un totale di 47 miliardi di dollari fino al 2025.

Ce la farà a reggere un simile peso ora che è cresciuto a dismisura anche il debito in asset esteri a quota 2,13 trilioni di dollari a giugno (+3,7%)?

Difficile, con queste premesse, credere alle rassicuraz­ioni del vice premier Liu He in base al quale la dual circulatio­n non fermerà la dimensione estera della Cina a discapito di quella interna.

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