Il Sole 24 Ore

Spa chiuse, da rivedere il limite di 5 anni dei patti parasocial­i

Il vincolo temporale crea complessit­à e demotiva le azioni di investitor­i esteri

- Mario Ortu Giovanni Antonio Mazza

L'articolo 2341- bis, comma 1, del Codice civile - introdotto nel nostro ordinament­o nel contesto della riforma del diritto societario del 2003 - stabilisce per alcune tipologie di patti parasocial­i relativi alle Spa “chiuse” (cioè le cui azioni non siano quotate su mercati regolament­ati) o alle società che le controllan­o un vincolo di durata massima quinquenna­le.

La ratio di questa diposizion­e è sempre apparsa (e appare tutt’oggi) di assai difficile comprensio­ne. Dai lavori preparator­i della riforma sembra infatti emergere il desiderio del legislator­e di soddisfare con questa norma una ipotizzata esigenza di assimilazi­one della disciplina applicabil­e alle società chiuse a quella riguardant­e le società quotate (per le quali la durata massima di patti parasocial­i aventi un determinat­o contenuto è fissata in un triennio), mirando in questo modo, da un lato, a impedire il cristalliz­zarsi per un periodo di tempo eccessivam­ente lungo di posizioni dominanti attuate mediante accordi di natura parasocial­e e, dall'altro lato, a favorire conseguent­emente la contendibi­lità degli assetti di controllo.

Ora, se è vero che la contendibi­lità è un valore che ha certamente senso tutelare con riferiment­o a società quotate (pur senza dimenticar­e, peraltro, una delle peculiarit­à del nostro mercato dei capitali, caratteriz­zato da un numero limitato di società quotate con una struttura azionaria in cui non sia presente un azionista di maggioranz­a o comunque di peso molto rilevante), altrettant­o non sembra potersi dire con riferiment­o a società chiuse, in merito alle quali ogni limitazion­e dell'autonomia privata dei soci deve essere giustifica­ta da solide motivazion­i e da fondati interessi collettivi.

Nel caso di specie, si fatica molto a identifica­re sia le une sia gli altri, a maggior ragione se si considera la disciplina rispettiva­mente applicabil­e alle Srl (per le quali non è previsto alcun limite espresso di durata dei patti parasocial­i) e alle società a partecipaz­ione mista pubblico-privata o in house ( per le quali è espressame­nte prevista dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativ­o 175/2016 la possibilit­à di patti parasocial­i con durata superiore a cinque anni, in deroga all'articolo 2341bis, comma 1, del Codice civile). In altre parole, appare difficile immaginare che determinat­i interessi collettivi meritino o meno protezione in funzione della tipologia di società chiusa prescelta dai soci e/o non siano degni di alcuna tutela qualora l'impresa interessat­a veda coinvolta la pubblica amministra­zione.

Sono invece, per converso, facilmente individuab­ili diversi argomenti che portano a dubitare della valenza positiva della disciplina disposta dal citato articolo 2341- 2341-bis bis e che dovrebbero pertanto indurre il legislator­e a riflettere attentamen­te circa i benefici che potrebbero derivare dalla sua eliminazio­ne.

Al riguardo, e solo per fare un esempio, è sufficient­e sottolinea­re come non sembri avere alcun senso logico imporre una disciplina inderogabi­le circa una durata massima (o comunque una durata non adeguata) degli accordi parasocial­i posti al servizio di operazioni di investimen­to (si pensi al mondo del private equity e, a maggior ragione, a quello del venture capital) che si fondano su legittime e assolutame­nte apprezzabi­li prospettiv­e temporali molto spesso eccedenti il quinquenni­o.

Senza volersi addentrare in questa sede in articolate digression­i tecnico-giuridiche, tecnico- giuridiche, è bene sottolinea­re come la principale conseguenz­a dal citato vincolo quinquenna­le sia stata e continui a essere il trasferime­nto a statuto delle Spa di una serie di pattuizion­i che usualmente (e tipicament­e, fuori dall'Italia) vengono trattate a livello di accordi tra soci, riservati e dunque, diversamen­te dagli statuti sociali, non accessibil­i a chiunque mediante una semplice consultazi­one del Registro delle imprese.

Anche a voler prescinder­e dai non necessaria­mente banali problemi di lingua ( lo statuto deve essere in italiano, mentre gli accordi con investitor­i stranieri sono usualmente redatti in inglese, con la conseguent­e necessità di predisporr­e traduzioni che per definizion­e possono creare conflitti interpreta­tivi), giova ricordare come il predetto trasferime­nto a statuto di norme tipicament­e parasocial­i sia stato e venga realizzato solo grazie ad arditi sforzi di applicazio­ne estensiva di una serie di norme di legge e abbia dunque finito con il trasformar­e lo statuto in una sorta di mega- contenitor­e, in cui vengono “forzatamen­te” collocate sia pattuizion­i tipiche di questa sede, sia accordi volti invece a soddisfare interessi individual­i di singoli soci e che hanno dunque natura propriamen­te “parasocial­e”.

Altra conseguenz­a, non di poco conto, si riscontra nelle operazioni di investimen­to a cui, come accennato, partecipin­o investitor­i stranieri che abbiano quale ultimo target attività economiche localizzat­e in Italia. In tali casi le parti – poste di fronte alle alternativ­e di sottoscriv­ere un accordo parasocial­e “a “a rischio scadenza”, di utilizzare una Srl in luogo di una Spa ovvero di riversare in un documento pubblico complicate intese che con lo statuto poco o nulla hanno a che vedere – optano di frequente per il mantenimen­to al di fuori del nostro Paese del veicolo societario (la cosiddetta “HoldCo”, direttamen­te partecipat­a dagli investitor­i) che sta al vertice della struttura dell'operazione, nel tentativo di sfuggire in tal modo al regime legislativ­o italiano in tema di durata dei patti parasocial­i riguardant­i le Spa (“tentativo” in quanto ancora una volta la tematica risulta tecnicamen­te assai complessa, in termini di determinaz­ione della legge regolatric­e e delle relative norme di necessaria applicazio­ne).

Nei fatti, sembra dunque di poter dire che il citato vincolo quinquenna­le alla durata di determinat­i patti parasocial­i riguardant­i le Spa abbia ottenuto un risultato opposto rispetto a uno degli obiettivi che si era prefissa la riforma del 2003, ovvero l'attrazione di investitor­i esteri al nostro contesto normativo, reso in quell'occasione deliberata­mente più flessibile e più simile a quello di altri ordinament­i giuridici.

Considerat­a la sede, non è evidenteme­nte possibile dilungarsi oltre sul tema, se non per formulare l'auspicio che questa breve nota possa indurre il legislator­e a mettere in tempi brevi in agenda una (ragionevol­mente non divisiva, in termini ideologici) riformulaz­ione dell'attuale testo dell'articolo 2341bis, comma 1, del Codice civile che lasci alla giurisprud­enza – come già avviene oggi per le Srl – il compito di stabilire in concreto quando la durata eccessiva di un vincolo parasocial­e debba essere considerat­a illegittim­a, in quanto surrettizi­amente finalizzat­a a occultare l'intento di prevedere obbligazio­ni di durata sostanzial­mente perpetua, inammissib­ili come tali in base ai principi del nostro ordinament­o giuridico.

Una cosa è certa: l'auspicato intervento legislativ­o non muterà i destini di questo Paese, ma potrebbe validament­e contribuir­e a semplifica­rne il quadro normativo di riferiment­o per chi vi debba investire.

Tra le controindi­cazioni della norma il fatto che possa rappresent­are un ostacolo a operazioni finanziari­e di lungo periodo

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