Decreti attuativi, sono 268 i provvedimenti necessari per i Dl Covid e la manovra
Quattro decreti legge Ristori che il Parlamento accorperà in unico provvedimento di conversione con una manovra tanto spericolata e inedita, quanto inevitabile per restituire qualche certezza a chi ha subito danni dalla pandemia. Una sorta di testo unico dei ristori, messo a punto a base di emendamenti e subemendamenti, in attesa del quinto decreto Ristori, postnatalizio, già annunciato.
Nove decreti legge all’esame del Parlamento, in contemporanea con la sessione di bilancio. Una sessione di bilancio che dovrà esaurirsi con una sola lettura sostanziale della Camera in meno di venti giorni. Una primizia.
Un carico di 83 decreti attuativi previsti dalla sola legge di bilancio (come testimoniano l’articolo e il tabellone pubblicati nella pagina a fianco) che vanno a sommarsi ai 185 provvedimenti attuativi già previsti dai decreti Covid non ancora varati, per un totale monstre di 268 provvedimenti da emanare, caricati sulle spalle degli uffici legislativi dei ministeri già largamente sotto stress.
Una sfilza di Dpcm per gestire l’emergenza sanitaria, sfornati a ritmi di uno ogni 10-15 giorni, con relative comunicazioni parlamentari preventive e un’attuazione a base di carte rosse, arancioni e gialle e ordinanze del ministro della Sanità, della Protezione civile e del commissario per l’emergenza.
Questo grande caos normativo è la fotografia della risposta italiana all’emergenza sanitaria ed economica.
A questo rumore incessante e disordinato si contrappone il silenzio che caratterizza la messa a punto della principale opera di ricostruzione: il monumentale Piano nazionale di ripresa e resilienza (altresì noto come Recovery Plan) da 209 miliardi da cui passa - su questo il giudizio è unanime - il futuro del Paese.
Silenzio operoso. L’accusa che da più parti arriva al governo è di essersene stato con le mani in mano e di essere in ritardo sul Recovery. La risposta facile dell’esecutivo è che in ritardo, semmai, è l’Europa. Ma la realtà è che, dopo la pioggia di progetti ( spesso mediocri) presentati a luglio e agosto dai ministeri, il governo ha cercato di rimediare mettendo al lavoro una task force di pochi grandi commis di Stato che sta elaborando - nella più assoluta riservatezza - il nocciolo duro del piano ( si veda Il Sole 24 Ore del 22 novembre). Il premier ha spiegato ieri che « in questi giorni stiamo perfezionando il piano » : l’auspicio è che emerga dalle catacombe un piano davvero strategico capace di avviare un confronto serio con il Parlamento, le Regioni, le parti sociali. E di rimettere in moto l’Italia con una strategia chiara, centrata su poche direttrice fondamentali, orientate allo sviluppo industriale del Paese, alle infrastrutture strategiche materiali e immateriali, a una Pa più efficiente.
Il grande caos rumoroso fatto di numeri iperbolici e il silenzio operoso: due facce della stessa medaglia di un Paese che ha smarrito il senso del confronto costruttivo e delle regole basilari con cui questo confronto si costruisce.
C’è da augurarsi che il fatto nuovo della settimana - il voto del Parlamento all’unanimità sullo scostamento di bilancio - sia il primo passo per ritrovare un metodo e una rotta comune che chiuda lo sbandamento e l’improvvisazione di questi mesi.