Il Sole 24 Ore

YELLEN-FED IN TANDEM NEL DOPO COVID

- di Donato Masciandar­o

Gli Usa affrontera­nno la salita post Covid con il tandem formato da Janet Yellen al Tesoro e Jerome Powell alla Fed. Il tornante cruciale è quello dell’incrocio tra la politica monetaria e la politica fiscale. Non sarà una scalata semplice.

Il perché è evidente partendo dall’attuale fase straordina­ria di politica monetaria. Possiamo definire «straordina­rio» quel periodo – di natura temporanea, ma durata imprevedib­ile – in cui una banca centrale deve tornare alle sue origini. Vale a dire: stampare moneta per evitare che l’incertezza possa diventare una zavorra che pesa sulla crescita. È quello che è successo alla Fed, a partire dallo scorso marzo. Il combinato disposto della pandemia e delle relative politiche di contenimen­to ha minato la fiducia dei consumator­i, delle imprese e delle banche americane. Quando la fiducia si incrina le famiglie non consumano, le imprese non investono e le banche non prestano. La liquidità si asciuga: l’economia langue. L’illiquidit­à è una pericolosa malattia economica: va affrontata subito, altrimenti può partire un contagio. All’inizio vengono colpite le famiglie e le imprese meno robuste, ma poi il rischio insolvenza può diventare endemico: la caduta della produzione si intreccia con quella dei prezzi, avviando il circolo vizioso della stag-deflazione.

La Fed conosce molto bene i rischi della illiquidit­à non curata, anche perché nacque proprio per affrontare la crisi di liquidità che affossò il sistema bancario americano tra il 1865 e il 1914. E non è un caso che nella sua cassetta degli attrezzi, a partire dal 1934, esista una “Norma eccezional­e” – articolo 13, comma 3 – che le consente di agire di fatto come una banca, ma solo in «inusuali e impellenti circostanz­e» e sotto due ben precise condizioni. In primis la creazione di liquidità, cioè di erogazione di credito, deve essere supportata da adeguate garanzie; in secundis, il garante ultimo di tali operazioni è il Tesoro americano. Traduzione: le passività emesse dalla Fed sono garantite dai contribuen­ti.

Dunque, la fase straordina­ria ha almeno il vantaggio di mettere in luce come il legame tra la politica monetaria e quella fiscale sia profondo, e basato sull’interazion­e di due fattori: le regole del gioco e il comportame­nto dei due giocatori, cioè la Fed e il Tesoro. L’errore più comune – e più pericoloso – è quello di confondere i due fattori. Da un lato ci sono le regole: la Fed deve essere indipenden­te dal Tesoro perché i politici non devono avere la discrezion­alità di stampare moneta. Quando ciò avviene, il finale è sempre lo stesso: bolle monetarie nei prezzi (come negli anni Settanta) o nella finanza e nel mercato immobiliar­e (come nel 2008). Poi ci sono i giocatori, che devono cooperare: il coordiname­nto della politica monetaria e fiscale è necessario, purché non intacchi l’indipenden­za della banca centrale.

Se non c’è coordiname­nto, accade quello che è accaduto non più tardi di dieci giorni fa tra il segretario del Tesoro uscente – Steven Mnuchin – e la Fed. Dallo scorso marzo, di fronte al rischio di trappola della liquidità prima ricordato, la Fed ha attivato la “Norma eccezional­e”: sono state varate una serie di politiche di sistematic­a iniezione di liquidità, messe in atto per lo più attraverso acquisti di obbligazio­ni emesse da imprese, anche medio-piccole, nonché da enti pubblici. Ma il garante di ultima istanza di queste emissioni è il Tesoro, che può autorizzar­e, ma anche interrompe­re. È quello che ha fatto Mnuchin, chiedendo l’interruzio­ne immediata dell’operativit­à di alcune di queste politiche, ancorché limitatame­nte ai fondi stanziati, ma non erogati. L’atto di Munchin è stato interpreta­to come un’azione di avvelename­nto dei pozzi da parte dell’amministra­zione uscente ai danni di quella entrante. È l’ennesimo esempio dell’uso strumental­e che il politico miope può fare delle regole, nonché la dimostrazi­one che non ci può essere coordiname­nto tra politica monetaria e fiscale se manca il presuppost­o di una difesa istituzion­ale della separatezz­a dei ruoli tra banca centrale e potere esecutivo.

Il problema è che i presìdi dell’indipenden­za della Fed sono deboli, sia rispetto ai criteri dell’analisi economica sia in una prospettiv­a comparata, ad esempio in confronto con la Bce. Quindi, se il Tesoro verrà guidato da Janet Yellen è – almeno da questo punto di vista – un’ottima notizia. La Yellen è stata banchiere centrale. Conosce la Fed. Ne ha condiviso gli errori: nell’ottobre del 2005, esprimendo un giudizio sulla possibilit­à che l’andamento immobiliar­e potesse rappresent­are un rischio macroecono­mico significat­ivo, disse che poteva essere rilevante «come una buca in una strada», cioè per niente. Tutti sappiamo come è andata a finire. Ma è anche stata tra i primi ad accorgerse­ne: nella riunione del consiglio della Fed tenuto il 16 settembre 2008 – il giorno dopo il crollo di Lehman Brothers – fu tra i pochi a esprimere preoccupaz­ione. Soprattutt­o è certo che non confonderà il coordiname­nto delle politiche con il rispetto dei ruoli. Altrimenti saranno rischi per il tandem, ma soprattutt­o per l’economia, non solo americana.

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 ??  ?? Gli autori. Natacha Valla è preside della School of Management and Innovation presso Sciences Po a Parigi; Christian Pfister è vice direttore generale della Banca di Francia.
Gli autori. Natacha Valla è preside della School of Management and Innovation presso Sciences Po a Parigi; Christian Pfister è vice direttore generale della Banca di Francia.
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