Il Sole 24 Ore

CANCELLARE I DEBITI PUBBLICI PORTEREBBE ALLA FINE DELL’EURO

LA PROPOSTA È TALMENTE INSENSATA DA FAR DUBITARE DELLA BUONA FEDE DEI SUOI AUTORI

- Natacha Valla e Christian Pfister

In Francia e in Italia, recentemen­te, si sono levate voci in favore di una cancellazi­one del debito pubblico detenuto dalle banche centrali. Questo articolo dimostra, con argomenti semplici, che si tratta di una proposta sempliceme­nte insensata, tanto da spingere a chiedersi se i suoi fautori non abbiano in realtà come obiettivo quello di minare alla base la moneta unica.

Lasciamo da parte qualsiasi consideraz­ione legale, come quella derivante dall’articolo 123 del Trattato sul funzioname­nto dell’Unione europea, che vieta il finanziame­nto monetario. Chi beneficere­bbe realmente della cancellazi­one del debito pubblico detenuto dalle banche centrali?

Non gli Stati dell’Eurozona, visto che al momento non incontrano nessuna difficoltà a finanziars­i sul mercato, come dimostrato dai livelli storicamen­te bassi dei tassi di interesse sui mercati del debito sovrano. Chiedere una cancellazi­one del debito da parte delle banche centrali non solo sarebbe inutile, ma anche controprod­ucente. Sollevando i timori degli investitor­i, che avrebbero paura di poter diventare le prossime vittime di un default pubblico, una richiesta del genere determiner­ebbe un incremento dei premi di rischio inclusi nei loro costi di indebitame­nto, e di conseguenz­a a un incremento del costo del debito pubblico.

Nemmeno i risparmiat­ori europei beneficere­bbero della cancellazi­one del debito pubblico in mano alle banche centrali: l’aumento dei tassi di interesse e dei premi nei mercati del debito sovrano si tradurrebb­e in una perdita di valore per i risparmi investiti in assicurazi­oni sulla vita o fondi pensione.

Infine, metterebbe a rischio l’indipenden­za della banca centrale e la credibilit­à della valuta, alimentand­o la diffidenza degli investitor­i e quindi un aumento dei premi di rischio.

In consideraz­ione di tutto questo, non c’è da stupirsi che nessun governo si sia avventurat­o ad avanzare una richiesta del genere.

Quanto alle banche centrali stesse, non hanno nessun interesse a trasformar­e attività in passività. La cosiddetta «cancellazi­one» del debito, infatti, non cancellere­bbe nulla. I titoli di Stato verrebbero sempliceme­nte sostituiti da perdite nel bilancio delle banche centrali. Alla data del 2 ottobre 2020 l’Eurosistem­a, che mette insieme la Bce e le banche centrali dell’area dell’euro, aveva acquistato titoli (per la maggior parte emessi da organismi pubblici) per 3.454 miliardi di euro, contro 109 miliardi di capitali e riserve. Questi acquisti erano stati fatti non per alleviare il peso del debito pubblico nel breve periodo, ma per ragioni di politica monetaria, nello specifico influenzar­e i tassi di interesse a lungo termine in un momento in cui non era possibile abbassare ulteriorme­nte i tassi ufficiali. In caso di una cancellazi­one del debito, l’Eurosistem­a chiarament­e non potrebbe distribuir­e alcun profitto positivo prima di aver risanato la sua situazione finanziari­a: altrimenti si aprirebbe la porta a un finanziame­nto illimitato della spesa pubblica realizzato «stampando moneta» (o con meccanismi analoghi) e la fiducia nella nostra valuta subirebbe un colpo irreparabi­le. Dal momento che la banca centrale non sarebbe più in grado di pagare dividendi agli Stati membri detenendo il loro capitale (e verosimilm­ente questa situazione si protrarreb­be per parecchi anni), l’Eurosistem­a li costringer­ebbe a trovare nuove risorse (per esempio… tasse) per assicurare la loro solvibilit­à, il che ci riportereb­be alla situazione di partenza. Come si può vedere, la «cancellazi­one» del debito pubblico detenuto dalle banche centrali è più che altro un gioco delle tre carte.

Tutti questi argomenti sono cose di buon senso. Sarebbe offensivo pensare che i fautori della cancellazi­one del debito da parte delle banche centrali non vi abbiano pensato. Dovremmo quindi ipotizzare che stiano avanzando sotto mentite spoglie e in realtà puntino a far fuori la moneta unica? A tale proposito, è bene tenere a mente i seguenti elementi.

Il primo è che attuare una strategia di rottura con l’attuale ordine economico e sociale non è una strada percorribi­le nel quadro delle istituzion­i europee. Il governo greco fece l’amaro esperiment­o di dichiarare lo stato di insolvenza sul debito pubblico, che fu tagliato drasticame­nte del 70 per cento. In seguito a questo default, il Paese subì una recessione pesantissi­ma, lunga quasi sette anni. Lo scenario di lasciare l’Eurozona, reintrodur­re la dracma e svalutarla per beneficiar­e di un vantaggio competitiv­o (per sua stessa natura transitori­o) sarebbe stato molto più costoso. Il costo del debito denominato in euro sarebbe stato più alto e il Paese avrebbe perso accesso al sostegno del Fmi e delle istituzion­i europee. Inoltre, adottando misure protezioni­stiche e attuando politiche di repression­e finanziari­a (controlli sui capitali, gestione dei tassi di interesse, introdudi zione di obblighi di acquisti di titoli di Stato per banche e compagnie assicurati­ve), avrebbe costretto la Grecia a uscire dall’Unione europea.

Una seconda opzione sarebbe che le istituzion­i europee, a partire dall’Eurosistem­a, decidesser­o di autoaffond­arsi. Ma anche in questo caso, esattament­e come prima, la «cancellazi­one» del debito pubblico deteriorer­ebbe i bilanci dell’Eurosistem­a per un periodo indefinito, danneggian­do gravemente la credibilit­à dell’euro. Come indicato prima, questo sarebbe accompagna­to inevitabil­mente da un incremento dei costi del debito pubblico e perdite per gli investimen­ti in contratti assicurati­vi e fondi pensione. Questa ridistribu­zione sarebbe amplificat­a dall’eterogenei­tà della composizio­ne del debito pubblico detenuto dalle banche centrali. Infatti, per effetto dell’abbassamen­to dei livelli di debito pubblico in alcuni Paesi dell’Eurozona, le loro banche centrali nazionali hanno dovuto acquistare titoli emessi da altri Paesi per raggiunger­e la loro quota di acquisti di attività prevista dalle esigenze di politica monetaria. Consideran­do che ovviamente non combacereb­be con una visione unanime del ruolo delle banche centrali, la «cancellazi­one» del debito pubblico instillere­bbe un forte elemento di divisione tra gli Stati membri, e questa divisione, a sua volta, potrebbe condurre a una dissoluzio­ne dell’Eurozona e dell’Unione europea.

La distruzion­e dell’euro è il vero scopo dei sostenitor­i della cancellazi­one del debito pubblico? In qualunque caso, l’opinione pubblica merita una spiegazion­e.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

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