Marketing selvaggio, cellulari ancora senza lo scudo
Domani avrebbe dovuto debuttare il «registro delle opposizioni» allargato ai numeri dei telefonini, ma si sono perse le tracce dello schema di decreto approvato a gennaio
Domani è il 1° dicembre, la data individuata da uno schema di Dpr approvato in gennaio dal Governo per far debuttare il «registro delle opposizioni» - lo scudo contro le chiamate indesiderate - in versione allargata anche ai numeri dei cellulari. Una scadenza ora diventata improponibile, visto che sul decreto non si hanno più notizie. Il provvedimento non ha superato il vaglio del Consiglio di Stato, che per due volte ha sollevato diverse obiezioni. Ora tutto tace. Il registro delle opposizioni non è certo un argine invalicabile alle chiamate pubblicitarie. Il fatto di farne parte, però, dà più forza quando si decide di opporsi - magari con una segnalazione al Garante - agli squilli senza regole.
Non sarà domani il giorno del debutto del registro delle opposizioni aperto anche ai cellulari. L’elenco che scherma i numeri telefonici contro il marketing selvaggio dovrà ancora attendere per allargare il proprio raggio d’azione. Del decreto del ministero dello Sviluppo Economico che avrebbe dovuto dettare le regole per l’operazione - e che aveva fissato al 1° dicembre il D-day - non si hanno più notizie.
Dallo Sviluppo economico assicurano che il provvedimento è stato trasferito al dipartimento degli affari giuridici e legislativi (Dagl) di Palazzo Chigi. In realtà, lo schema di Dpr è stato inviato a Palazzo Chigi con una nota del 19 ottobre, ma solo per conoscenza. Al tempo stesso è stato chiesto un ulteriore parere al Garante della privacy (che già si era espresso) circa i rilievi sollevati per ben due volte dal Consiglio di Stato. Insomma, la palla è ancora nelle mani dello Sviluppo economico. E questa al momento appare l’unica certezza.
Le super sanzioni
Tutto ciò mentre il telemarketing aggressivo non accenna a diminuire. Anzi. È di qualche giorno fa - per rimanere ai casi più eclatanti - la sanzione di oltre 12 milioni di euro inflitta dal Garante della privacy a Vodafone per aver raggiunto con telefonate promozionali cittadini che non volevano essere disturbati. Analoga sorte era toccata a gennaio scorso a Eni (11,5 milioni di sanzione), mentre a febbraio era stata Tim a incorrere in una super multa: 28 milioni.
Il registro delle opposizioni - nato nel 2010, gestito dalla Fondazione Bordoni del ministero dello Sviluppo economico e al quale sono finora iscritte poco più di 1,5 milioni di numerazioni telefoniche - non è certo un argine invalicabile alle chiamate pubblicitarie. Il fatto di farne parte, però, dà sicuramente più forza quando si decide di opporsi - magari con una segnalazione al Garante - agli squilli senza regole. L’inclusione dei cellulari allargherebbe in modo significativo il perimetro di protezione. Ma, trascorsi quasi tre anni, tutto tace.
La lunga attesa
Del registro aperto ai telefonini si è, infatti, iniziato a parlare a febbraio 2018, quando è entrata in vigore la legge n.5. Quella riforma ha introdotto diverse novità, a cominciare proprio dalla possibilità di inserire il proprio numero di cellulare nell’elenco anti-disturbo. La legge assegnava a un Dpr il compito di regolare il nuovo assetto del registro, decreto che sarebbe dovuto arrivare entro il 5 maggio di quell’anno. A occuparsene era stato chiamato il ministero dello Sviluppo economico.
Si è dovuto, però, aspettare quest’anno per conoscere quelle regole. Lo schema di Dpr è stato, infatti, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella seduta del 17 gennaio. La scelta del ministero è stata di sostituire in toto il decreto che già disciplinava il registro delle opposizioni dal 2010 (il Dpr 178), invece di integrarlo con le novità della legge 5.
Telefonate indesiderate senza tregua: pochi giorni fa la sanzione da 12 milioni di euro del Garante privacy a Vodafone
Il provvedimento non supera il vaglio del Consiglio di Stato, che per due volte ha sollevato diverse obiezioni
I rilievi dei giudici
Il nuovo provvedimento ha poi iniziato il normale iter legislativo, con tappa al Consiglio di Stato. Lì ha subito un primo stop. Ad aprile i giudici della sezione consultiva per gli atti normativi di Palazzo Spada hanno sollevato diverse obiezioni, al punto da rispedire il decreto allo Sviluppo economico con la richiesta di chiarimenti.
A luglio, quando il Consiglio di Stato si è trovato per la seconda volta a esaminare il Dpr, il tenore delle osservazioni è rimasto pressoché immutato: passaggi ancora da chiarire, norme fuori misura, frutto di forzature da parte del ministero nell’interpretare la legge primaria (per esempio, riguardo alla disposizione che apre il registro anche alle numerazioni da telefono fisso non contenute negli elenchi pubblici) oppure scelte discutibili (come quella di limitare i canali di iscrizione al registro).
Allo stesso tempo, però, il Consiglio di Stato ha riconosciuto che alcune disposizioni del Dpr, in particolare quella sulle sanzioni, originano da un quadro normativo di riferimento di difficile interpretazione. Proprio per questo i giudici hanno ritenuto - così come, d’altra parte, prevede la legge - di avvertire il legislatore, ovvero lo Sviluppo economico e il Governo, della possibilità di correre ai ripari con un intervento chiarificatore.
Da quel momento, però, del decreto non si hanno più notizie certe.